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Quel piano per sostituire tutta la Gdf

Un ufficiale conferma la versione di Speciale e aggiunge: c’erano tre fasi per cambiare i vertici delle Fiamme gialle. "Mi dissero di non riferire nulla"

Quel piano per sostituire tutta la Gdf

Fase Uno, fase Due, fase Tre. Il progetto del vice ministro Vincenzo Visco sul progressivo azzeramento della gerarchia dei comandi nevralgici della Guardia di finanza andava ben aldilà delle sole caserme di Milano. Lo spostamento della catena gerarchica ambrosiana, dal capo della polizia giudiziaria sino al comandante della Regione, faceva parte della cosiddetta Fase Uno. A questa ne sarebbero seguite altre due. Facendo rientrare quindi la prima in una strategia più ampia dell’autorità politica. È questo uno dei motivi ancora inediti che potrebbe aver portato allo scontro istituzionale del luglio scorso tra il vertice della Guardia di finanza e il braccio destro del ministro Padoa-Schioppa. La partita avrebbe quindi avuto dimensioni più rilevanti. Lo ha messo nero su bianco un ufficiale della Guardia di finanza che lo scorso agosto è stato sentito negli uffici della procura militare di Roma. Il nome è coperto dal massimo riserbo. Il testimone ha una figura chiave, avendo seguito ora dopo ora tutta la fase delicata degli avvicendamenti sollecitati da Visco nel luglio scorso. E non è stato indicato dal comandante Roberto Speciale (nella foto) come presente alle fasi critiche dello scontro con Visco. Lo stesso ha confermato non solo il racconto di Speciale. Ma lo avrebbe ampliato con particolari inediti. Sarebbe stato, ad esempio, convocato dai generali Italo Pappa, comandante in seconda, e Sergio Favaro, capo dei reparti d’istruzione. I quali gli avrebbero consegnato la lista con tutti gli ufficiali da rimuovere a seguito dell’azzeramento della gerarchia lombarda. Non solo. Il teste sostiene che l’allora capo dei reparti di istruzione Favaro gli disse esplicitamente di non riferire nulla al suo superiore della vicenda. Insomma, bisognava tagliare fuori parte della gerarchia. Strano. L’ufficiale però, militare con ottimo status di servizio, non ha seguito la disposizione e ha riferito al suo capo. Una decisione che deve esser stata motivata soprattutto dall’anomalia palese degli avvicendamenti prospettati. Ancora. Avrebbe saputo in epoca non sospetta dello sfogo con relative minacce di Visco al comandante generale.
Per non dimenticare, appunto, il programma dei movimenti che dovevano scattare, divisi in tre fasi e sui quali si è parlato molto in quell’estate al comando generale. Se la ricostruzione è vera, e non si capisce perché questo ufficiale avrebbe dovuto dire il falso, significa che l’autorità politica intendeva mettere in minoranza il comandante generale. E influenzare, tramite alcuni alti ufficiali che Visco riteneva in qualche modo vicini o di dialogo, le mosse della gerarchia rimuovendo, spostando, definendo chi doveva occupare le caselle strategiche del Corpo militare. Il racconto, certo, va preso con le dovute cautele. Da quanto trapela sembra tuttavia che la procura militare abbia in mano altri elementi che sostengono la veridicità di questo programma, di un autentico spoils system da avviare nella Guardia di finanza. Se così fosse si spiega lo scontro frontale di luglio. Le resistenze di Speciale. L’assenza di ogni compromesso. Ecco che Milano era la scala gerarchica sulla quale intervenire subito. Lì la sede più prestigiosa prima di Napoli e Palermo. Ed essendo, soprattutto, la polizia giudiziaria sotto la Modonnina, titolare delle inchieste più complesse in materia finanziaria. A iniziare dai furbetti del quartierino, Antoneventa, Unipol/Bnl e quant’altri. Una ricostruzione che però stride, almeno in apparenza, con la seconda parte del racconto dei generali interrogati. Quando all’unisono sostengono che il vice ministro non indicò i nomi dei sostituti di Milano delegando la scelta agli interlocutori che aveva convocato subito nel suo ufficio, appunto Pappa e Favaro. Un dettaglio che induce a due considerazioni: o Visco non voleva proprio i quattro a Milano oppure si fidava ciecamente dei due generali. Che evidentemente sentiva antagonisti rispetto al comandante generale. Dei quali si fidava. Tanto da convocarli nel proprio ufficio irritualmente. Ancor prima di rivolgersi al numero uno in quella giornata di metà luglio.
L’altro mistero rimane quel foglietto sventolato sotto gli occhi di Roberto Speciale. «Dattiloscritto», ricorda il comandante generale. Scritto quindi al computer con i nomi dei quattro comandanti da rimuovere e i rispettivi uffici ricoperti.
Chi lo scrisse? Chi lo passò a Visco? Anche questa potrebbe essere una delle domande che rivolgeranno i magistrati romani ai testi da sentire su quest’incredibile vicenda.
gianluigi.

nuzzi@ilgiornale.it

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