Cultura e Spettacoli

Quel vescovo danese che benedisse i massoni «illuminati»

«La Loggia della Philantropia» di Nico Perrone: un viaggio agli albori del Risorgimento

Veniva dalla Danimarca. Si chiamava Friedrich Münter ed era nato a Gotha, da Balthasar, pastore protestante, e Magdalena. Archeologo, filologo, storico della chiesa, numismatico, naturalista, conoscitore di lingue antiche e moderne, professore all’Università di Copenaghen, vescovo riformato dell’isola di Sjaelland e massone: gran maestro della loggia Friederich zur Gekrönten Hoffnung.
Uno così, lo poteva produrre solo il grande ’700 riformatore. Secolo in cui la massoneria, appena nata nella sua versione moderna, poteva sì essere veicolo di conoscenze esoteriche, rifugio di alchimisti alla Raimondo di Sangro principe di San Severo, ma era soprattutto veicolo della nuova ventata illuminista. Un punto d’incontro delle nobiltà di sangue, di toga e di penna (dall’imperatore Federico il Grande a Gaetano Filangieri a Vittorio Alfieri) trasversale ai moderni Stati occidentali. Dove la moda del gran tour era anche occasione di visita ai fratelli del resto d’Europa o addirittura dei neonati Stati Uniti. E dove operavano autentici agit prop, chiamati con la loro autorevolezza ad aiutare lo sviluppo dell’ideale massonico in lungo e in largo per l’Occidente. Una sorta di diplomazia parallela, impegnata con le corti in un gioco tanto aggrovigliato che non si riesce mai a ben comprendere quanto giocasse la nazionalità, e quanto l’universalità dell’ideale massonico.
Münter era uno di loro. Sua missione, mettere ordine nelle effervescenti ma sgarrupate logge dell’Italia meridionale. Nico Perrone, grazie a una certosina ricerca d’archivio, ricostruisce ne La Loggia della Philantropia (Sellerio, pagg. 274, euro 10) non solo i viaggi napoletani del vescovo col grembiulino, ma anche la fitta rete di rapporti fraterni intessuta col gotha dell’intellettualità partenopea. Da Filangieri a Eleonora de Fonseca Pimentel, da Mario Pagano a Donato Tommasi a Giuseppe Albanese. Tutti, ad eccezione della Pimentel, fratelli massoni. Tutti, dal 1786, coinvolti nella loggia Philantropia, costituita perché «le nuove idee tedesche offrono maggiori possibilità di lavorare realmente per il bene dell’umanità». La Philantropia, auspice l’instancabile Münter, mutuava infatti l’impianto ideologico dall’ordine degli Illuminati.
Rispetto alla massoneria inglese (tutta protesa verso l’etica) o ai riti più esoterici, gli Illuminati, nati in Baviera nel 1776 su iniziativa di Adam Weishaupt, avevano l’esplicito intento di combattere l’assolutismo, attraverso il sostegno alle riforme e un esplicito impegno per la pedagogia (Weishaupt era stato educato dai Gesuiti). Una massoneria «politica» e razionalista, che avrà un ruolo di primo piano nella rivoluzione napoletana del 1799. Il libro «parallelo» di Perrone ci parla, infatti, dell’effimera repubblica partenopea. Delle generosità e degli errori, dei protagonisti e delle loro idee, del difficile rapporto tra l’ideale e il «reale», dell’umanitarismo e della spietata repressione contro i lazzari e le bande del cardinale Fabrizio Ruffo. Fino alla mesta fine, sulla forca, di un’intera classe dirigente.


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