Politica

Quell’affarista che lega Fini a Montecarlo e al re delle slot

C’è uno strano filo che si intesse nella ragnatela grazie alla quale l’appartamento di Montecarlo dal patrimonio di An è finito nelle disponibilità del «cognato» Giancarlo Tulliani. La società che ha acquistato il quartierino monegasco, la Printemps Ltd, per poi rivenderlo a un’altra società fantasma, la Timara Ltd, tutte e due con lo stesso indirizzo nell’isola di Santa Lucia ai Caraibi, è rappresentata da tal James Walfenzao. Il quale però rappresenta anche Francesco Corallo e la sua quota di maggioranza nella galassia dell’Atlantis World Group, con sale da gioco ai Caraibi e a Santo Domingo e una girandola di società da far girare la testa, tra le quali il ramo italiano, l’ex Atlantis Giocolegale ltd, sede a Londra, da un anno ribattezzata Bplus, che si occupa con strepitoso successo di slot machine e video poker.
Con tanti specialisti nel gestire società ombra nel Principato o ai Caraibi, per far accasare il giovane Tulliani proprio alla rete di esperti dell’Atlantis ci si doveva affidare? La domanda - la prima di una serie - non è peregrina. Queste sono compagnie di giro molto particolari. Non ci si entra per caso, data la natura degli affari che si trattano e il massimo di riservatezza richiesta tanto ai fruitori che ai fornitori di questi servizi particolari. La vicenda è nota, ma i vari pezzi sono rimasti come sospesi nell’aria resa incandescente dall’affaire dell’appartamento di boulevard Princesse Charlotte 14. Proviamo allora a riprendere il filo.
Che riparte da un Ferragosto di sei anni fa, 2004, come passa il tempo... Dal punto in cui il grande amico di Fini, Amedeo Laboccetta, porta a cena da Corallo al Beach Plaza, l’hotel dell’Atlantis World Casino a Saint Martin, Antille Olandesi, il presidente di An, la di lui allora moglie Daniela. All’epoca, quando la foto ricordo della serata finisce sull’Espresso, Fini può ancora permettersi di corrucciare le labbra e far dire al portavoce: «È notorio che al presidente Fini piace praticare le immersioni subacquee. Fini non ha nulla a che fare con il signor Corallo».
Adesso, a sei anni di distanza, sotto la pressione dell’affaire monegasco Amedeo Laboccetta ha rivelato un particolare rimasto finora inedito. Nella trasferta caraibica c’era anche Checchino. Checchino chi? Francesco «Checchino» Cosimi Prioetti, l’uomo di fiducia di Gianfranco Fini. Ora, ed è la seconda domanda, per fare il sub nelle acque cristalline dei Caraibi che bisogno c’è di tirarsi dietro il segretario particolare, il tuttofare fidato? Oppure è al seguito perché si parla anche - non solo, anche - d’affari?
Adesso bisogna fare un piccolo passo indietro. Al 12 marzo 2004. L’allora ministro dell’Economia nel governo Berlusconi, Domenico Siniscalco, passa alla storia per il decreto ministeriale che introduce in Italia «il gioco con partecipazione a distanza», vale a dire videopoker, slot machine e ogni possibile scommessa online. Un affarone - quello di trasformare ogni bar, ritrovo, circolo in una bisca - su cui si sono fiondati i Ds, con i Bingo a partire dall’inizio degli Anni Duemila, e i vertici di Alleanza nazionale con «il gioco a distanza». I primi con alterne fortune, i secondi pare con maggiore successo.
Il 15 luglio 2004 l’Atlantis world group of companies ottiene dalla Aams (i Monopoli di Stato) una delle dieci concessioni per il «gioco con partecipazione a distanza». Laboccetta dirà che, al momento della vacanza ai Caraibi con il presidente Fini, neppure sapeva che il gruppo di Francesco Corallo era diventato uno dei concessionari delle «newslot» (si chiamano così in gergo). Comunque, di ritorno dalla trasferta caraibica Amedeo Laboccetta, perito tecnico, figura storica prima del Msi e poi di An a Napoli, viene nominato rappresentante in Italia dell’Atlantis group. Difenderà strenuamente, rintuzzando sospetti, annunciando diffide, il gruppo fino al 2008 quando viene eletto deputato e, come ha ripetuto più volte in questi giorni, «ho lasciato ogni incarico nelle società».
Ecco la terza domanda. Atlantis in Italia ha solo uno strapuntino, il gruppo ha sede legale in Olanda, base operativa nei Caraibi, il ramo che si occupa di giochi a distanza in Italia è registrato a Londra. Come ha potuto nel nostro Paese, in barba agli altri concessionari tutti italiani, nomi come Snai e Lottomatica, in pochi mesi fare la parte del leone, acquisire - come vantano i diretti interessati - il 30 per cento del mercato?
Naturalmente non c’è rosa senza spine. Gli affari vanno a gonfie vele, anche troppo. Se non fosse per quei rompiscatole della Guardia di finanza. Il Gat (il Gruppo antifrodi telematiche) accerta che delle 200mila macchinette installate in Italia solo una su tre è collegata al cervellone della Sogei (la società informatica pubblica che raccoglie i dati sul volume delle giocate e calcola il «preu», cioè il prelievo erariale unico che i concessionari devono versare allo Stato pari al 13,5%). Dal 2004 al 2006 il monte-giocate ufficiale è stato di 15,4 miliardi di euro. Una cifra enorme. Ma ancora più impressionante è l’ammontare reale dei soldi che gli italiani avrebbero riversato nelle slot machine secondo le Fiamme gialle: 43,5 miliardi. 28,1 miliardi di euro sono spariti nel nulla. Il 70 per cento del prelievo fiscale è stato evaso. La Corte dei Conti chiede ai concessionari, tra tasse evase e sanzioni, 98 miliardi di euro, l’equivalente di tre Finanziarie. Ma finora non hanno pagato un centesimo.
Le sanzioni più pesanti, 31 miliardi, riguardano proprio l’Atlantis group, che secondo le contestazioni si è reso colpevole delle infrazioni più gravi.
I soldi però non spariscono, tutt’al più, come dice Giulio Tremonti, cambiano di tasca. E dove è finita quella massa enorme di denaro? La Guardia di finanza un’idea precisa ce l’ha.
Ma a salvare i concessionari e a tenere afflosciato lo scandalo ci pensa il governo Prodi. Del resto, l’interesse al gioco è trasversale. La Gdf, per non far torto a nessuno, fa lo screening anche alle sale bingo, dove il Pds ha una sorta di monopolio, e compila un elenco di società in cui a detenere le azioni sono addirittura cordate di federazioni pidiessine. Ma succedono cose molto strane. L’allora ministro alle Finanze Vincenzo Visco nel giugno 2006 sull’affare delle newslot affida, in gran segreto, una commissione d’inchiesta al sottosegretario Alfiero Grandi.
La commissione finisce i lavori il 23 marzo 2007. Il rapporto, esplosivo, però non viene divulgato. A renderlo pubblico con un’inchiesta dettagliata e coraggiosa sono due giornalisti Ferruccio Sansa e Marco Menduni del Secolo XIX. La conferenza stampa indetta dalla Finanza salta all’ultimo momento. Del rapporto della commissione Grandi vengono stilate due versioni: in quella definitiva scompare ogni riferimento alla criminalità organizzata. Alfiero Grandi, ex sindacalista Cgil, sinistra Pds, fa una virata a 180 gradi. Si arriva al grottesco per cui i deputati partecipano alle audizioni dei vertici dei Monopoli alla commissione Finanze della Camera senza avere materialmente la relazione in mano. Testo che tuttora è praticamente introvabile.
Ai concessionari andrebbe revocata immediatamente la concessione, visto che, come recita il decreto ministeriale, il contratto appunto pone a carico loro la correttezza dei dati sulle giocate trasmessi all’amministrazione finanziaria. A proteggere i loro interessi e non quelli dell’erario provvede il governo di Romano Prodi. Come? Introducendo nella Finanziaria per il 2008 un codicillo che, semplicemente, cambia i termini dell’accordo tra Monopoli e concessionari. Il giocattolo - e i quattrini, tanti - sono salvi.
Resta in piedi, nonostante le pressioni enormi, il processo innescato dalla Corte dei conti, comunque diluito e rinviato per quattro anni.
pierangelo.

maurizio@alice.it

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