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Quell’immobile non doveva finire ad An

Ecco l’elenco di tutti i beni della contessa Colleoni nell’atto di successione: fra terreni, conti correnti, titoli e abitazioni manca la casa nel Principato. Che il partito ottenne in qualità di erede universale

Quell’immobile non doveva finire ad An

Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

nostri inviati a Bergamo

Case, magazzini, box auto, immobili vari, titoli obbligazionari, conti correnti. Eccola la dorata eredità Colleoni, quella per la quale Anna Maria nel 1997 cambiò testamento, nominando Alleanza nazionale sua erede universale, in nome degli ideali per cui era vissuta. Un tesoretto che l’Agenzia delle entrate, il 23 novembre del 2000, quantificava complessivamente in poco più di due miliardi e mezzo (per l’esattezza 2.547.129.421) di lire, dei quali 1.794.571.000 era il valore dei beni destinati ad An. Una stima paurosamente per difetto: ettari di terreni divenuti edificabili venivano indicati ancora come «canneto» o «seminativo», e iscritti nell’attivo ereditario per pochi spiccioli, e case di prestigio nel centro di Roma si ritrovavano messe a bilancio per il loro valore catastale. Così, la stessa Agenzia delle entrate, quattro anni più tardi rifà un po’ di conti e aggiusta il tiro. E in un «avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta» aggiorna il valore totale della quota ereditaria di An a 8.324.464.273 di lire, ossia circa 4,3 milioni di euro. Stima comunque per difetto, oltre che risalente a sei anni fa.

Quanto ai singoli «doni» dell’eredità che Anna Maria Colleoni voleva devolvere, dopo la sua scomparsa, alla «giusta battaglia», l’elenco nella dichiarazione di successione, che porta la firma di Francesco Pontone, «estraneo erede» per grado di parentela o affinità, ma presente nel documento in quanto rappresentante di An, è lungo.
Ci sono le proprietà di Monterotondo, il paese in provincia di Roma dove la Colleoni aveva una tenuta. E dunque ecco l’abitazione di sette vani catastali e mezzo più cantina in via Gramsci, 53, completata da un box auto che con i suoi 27 metri quadrati non ha molto da invidiare quanto a spazio a certi monolocali. E poi i terreni. C’è un canneto di 0,15 ettari, mezz’ettaro di seminativo, un «fabbricato rurale pericolante» di 250 metri quadri (iscritto con valore zero), un altro seminativo di 1,2 ettari, un frutteto di mille metri quadrati, mezzo ettaro abbondante di vigneto e un altro appezzamento di seminativo. Complessivamente, oltre 2,5 ettari. Che, e non è certo un particolare, sono nel frattempo divenuti terreni edificabili, il che ha fatto schizzare alle stelle il valore dei fondi.

Tornando a Roma, ecco il «gioiello». In una palazzina di inizio ‘900 al civico 40 di via Giovanni Paisiello, a due passi da Villa Borghese, una residenza di 12 vani, iscritto a catasto in classe 4, la più alta, con cantina e soffitta al sesto piano, più box auto di 13 metri quadri, che persino nel 2000 aveva un valore catastale di 55 milioni di lire. Questa casa era la «rendita» della signora Colleoni, che con quello che incassava dall’affitto dell’appartamento di via Paisiello poteva mantenere il suo tenore di vita. Anche la sua casa romana di residenza è finita nel patrimonio di Alleanza nazionale. Un appartamento di 3,5 vani catastali in viale Somalia, 215/A, al terzo piano. E il «portafogli immobiliare» trasferito al partito di via della Scrofa si completa con un appartamento a Ostia, in via dei Promontori, 50. Quattro vani e mezzo, questi, venduti poi da Alleanza nazionale nel marzo del 2003. Anche la casa di viale Somalia è stata alienata dal partito di Fini poco dopo esserne entrato in possesso, a novembre del 2002.
E l’appartamento da sogno in via Paisiello? Non risultano atti di compravendita. Quella casa nel cuore dei Parioli sarebbe ancora disabitata e sfitta, un bello spreco considerando che era il «bancomat» della Colleoni.

Ma non è il solo mistero di questa eredità. L’elenco è finito, eppure manca qualcosa. Ossia la casa dalla quale tutto l’affaire della donazione Colleoni per la «buona battaglia» è cominciato, quella al civico 14 di Boulevard Princesse Charlotte, a Montecarlo, nel Principato di Monaco.
Non v’è traccia del quartierino in Costa Azzurra nella dichiarazione di successione né nell’avviso di rettifica, e la casa composta da salone, due camere, cucina, bagno e balcone non è nemmeno citata nel testamento olografo con il quale la simpatizzante di An decise di lasciare tutto al «suo» partito.

In realtà, infatti, quando la signorina Colleoni nel 1962 decise di investire in quell’immobile, non registrò la nuova proprietà in Italia. E, di conseguenza, non scrisse da nessuna parte che la sua casetta monegasca dovesse finire ad An.

Morta la discendente del condottiero, però, il fatto che la donna aveva un punto d’appoggio a Montecarlo giunse alle orecchie del «partito-erede», ma tramite terzi. Qualcuno avvisò i tesorieri che il patrimonio aveva una ciliegina sulla torta. E quando dopo l’apertura del testamento An chiese conferma dell’esistenza di quella casa agli altri aventi diritto, ottenne una risposta positiva.

Così l’appartamento dove ora abita, in affitto, il fratello di Elisabetta Tulliani, compagna di Gianfranco Fini, finì nella cassa di via della Scrofa anche se la Colleoni non l’aveva detto da nessuna parte. Potenza della nomina ad erede universale. Il resto della storia è noto. Anni di «sopralluoghi» e di offerte di acquisto cadute nel vuoto. Poi quella strana transazione «caraibica», con l’appartamento venduto per un quinto del suo valore a una finanziaria off-shore, che a sua volta lo rivende, due mesi dopo, a una finanziaria gemella. Che lo affitta a Giancarlo Tulliani. Mentre il vero nuovo proprietario della casa, l’uomo che si è assicurato un tetto a Montecarlo per il prezzo di un appartamentino alla periferia di Roma, resta nascosto, protetto dal gioco di scatole cinesi che chissà chi ha architettato per perfezionare la compravendita. Di una casa che tutti i protagonisti di sponda ex An descrivono, praticamente, come un rudere. «Rischio di setticemia», «ridotta malissimo». Eppure non si trattava di un appartamento abbandonato dal Dopoguerra. La signorina Colleoni ci era stata in vacanza, l’ultima volta, per la Pasqua del 1999. Due mesi dopo lei passò a miglior vita. E la casa derelitta ma, pare, molto ambita, passò di mano in mano. Finendo nella disponibilità del «cognato» di Fini.
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massimo.

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