Cronaca locale

Quella cultura rimasta al verde

L a prima cosa che colpisce il lettore nel Grande Atlante dei Giardini di Lucia Impelluso e Filippo Pizzoni è il silenzio su Milano. Neppure un giardino citato. L’assenza colpisce anche Emanuela Rosa-Clot che ha commentato il libro a Palazzo Valsecchi.
Direttrice dal 2006 del mensile «verde» Gardenia, Emanuela Rosa-Clot ha un occhio particolarmente attento sulla sua città. «Come mai Milano non è citata? È una domanda da porsi dal momento che proprio Milano ha visto nascere i primi parchi pubblici con impianto alla francese, come i Giardini Montanelli, già alla fine del Settecento, con spirito veramente avanguardistico. Oggi invece è altrove che si commissionano a grandi architetti e paesaggisti contemporanei i nuovi spazi verdi. Penso a Parigi, per esempio, al Parc Citroën, sorto sull’area dismessa dell’industria automobilistica e affidato a Gilles Clément o al recentissimo e ardito “muro vegetale” realizzato da Patrick Blanc al Musée du Quay Branly».
E Milano?
«Abbiamo volonterosi esempi privati nella parete verde realizzata dall’Enel in corso di Porta Ticinese 93 e in quella del Caffè Trussardi, in collaborazione con Patrick Blanc. E poi il progetto dello Studio Boeri ai margini del quartiere Isola: edifici per abitazioni che ospiteranno un bosco verticale. Quando Clément venne a Milano, si parlò anche di un progetto di impianto arboreo legato al Museo Diocesano. Però a tutt’oggi non se ne sa nulla. Del resto non induce all’ottimismo il fatto che l’amministrazione milanese abbia cancellato l’Assessorato ai parchi e giardini per farlo confluire in quello dell’Arredo, decoro e verde urbano. Ma il verde non è arredo né decoro, il verde è vita, vita e bellezza per la città».
Un futuro «defogliato» dunque per Milano?
«No, abbiamo ancora grandi possibilità e un’opportunità da non perdere: quella del 2015. Ma anche in questo caso mi sembra che i progetti per ora siano solo sulla carta. Come quello dei “raggi verdi” dell’architetto Andreas Kipar, i sette percorsi che dovrebbero partire dal centro verso l’esterno o il “metrobosco” che dovrebbe collegare tra di loro i parchi già esistenti».
Zero in condotta dunque alla Milano verde?
«Abbiamo anche delle eccellenze: il Parco Nord e il Parco delle Cave sono due bellissimi esempi di parco-natura. Ci sono splendidi esempi di interventi privati come il Giardino della Guastalla, restaurato e curato dalla Bracco. Perché non bisogna dimenticare che una volta impiantato il giardino, va anche curato».
E questo è un ulteriore problema, con il clima sempre più caldo e arido.
«È per questo che a progettare i parchi bisogna chiamare gli specialisti, i competenti: giardinisti e paesaggisti. Esiste la possibilità di creare giardini a bassa manutenzione e a basse esigenze idriche. Senza per questo rinunciare alla bellezza. Penso a celebri architetti del giardino come l’olandese Piet Oudolf che usa grandi masse colorate di erbacee perenni».
Milano è una città compatta e congestionata. Le aree verdi sono quasi tutte ai margini. Poco rimane in città, a parte gli esempi storici citati...
«Bisogna sfruttare al massimo gli spazi, anche piccoli. Anche un polmoncino verde è prezioso. Ad esempio i circa mille metri quadrati in via Terraggio, di proprietà del Comune, che da anni i residenti chiedono di aprire. E la Darsena? Quella sì che è una grande sfida. Potrebbe diventare un bellissimo giardino urbano rallegrato dall’acqua.

E la ristrutturazione in corso all’ospedale di Niguarda, dove al momento vengono abbattuti alberi centenari per il necessario ampliamento dei padiglioni, potrebbe diventare l’occasione per creare uno spazio alberato che andrebbe a collegarsi al Parco Nord».

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