Il programma delle vacanze era stato preparato da tempo. Prima la Love Parade a Duisburg, poi il viaggio in Olanda, infine il ritorno a casa con una valigia carica di ricordi ed emozioni. Invece, Irina di Vincenzo è tornata in Italia con il cuore straziato per la morte della amica Giulia Minola, sua compagna di appartamento e di università. Dopo aver trascorso una notte insonne nell'appartamento di Milano, che condivideva con Giulia, Irina ieri ha fatto ritorno a casa, a Grugliasco, dove ad attenderla c'erano i genitori, gli zii e i nonni. Ma prima di rifugiarsi tra le braccia protettive della famiglia, Irina ha raccontato.
Ancora sotto choc, con le lacrime a rigarle il viso, la studentessa torinese ha voluto denunciare quanto accaduto in Germania. Ha raccontato del panico di quei tremendi minuti, Irina. Ha ricordato la follia collettiva che non ha dato scampo a Giulia e ad altre 19 persone. Una follia alla quale lei miracolosamente è riuscita a sopravvivere. «È stata una tragedia che poteva essere evitata ha spiegato la ragazza, senza mezzi termini -. Cerano pochi agenti, ma la cosa che mi rende triste è che quanto accaduto poteva comunque essere evitato».
I ricordi, adesso, non sono nitidi, complice lo choc ma anche la velocità con cui si sono susseguiti i fatti. «È stato un inferno ha ricordato Irina -. Non ero mai stata ad un Love Parade, ma ad altri festival musicali sì. Eravamo andate a Duisburg per fare festa e ci siamo ritrovate in un inferno». «La polizia era poca ed è rimasta quasi sempre in disparte, ho visto pochissimi soccorsi ha aggiunto -, per lo più prestati dai compagni. Io mi trovavo tra un tunnel e laltro, mi sono salvata perché sono stata trascinata dalla corrente della gente. E a prestarmi i primi soccorsi sono stati alcuni ragazzi che mi hanno accompagnato verso le ambulanze».
Sulle responsabilità Irina ha pochi dubbi: «Ci sono delle colpe specifiche, perché le persone sono state abbandonate nel tunnel. Cera gente che soffocava, che cadeva, che veniva calpestata senza che la polizia facesse il proprio dovere». «Non ci si poteva muovere ed era difficile anche respirare. Credo che la responsabilità sia stata nellorganizzazione iniziale, nel non aver previsto così tanta gente.
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