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Quelli che le violenze "sono un ottimo segnale"

Forse per riscattare la grigia immagine che s’è fatta da quando è andato via Sansonetti per far posto a un direttore che viene non dal giornalismo ma dal sindacalese, ieri Liberazione ha inventato una prima pagina di straordinaria comicità, degna del miglior Campanile. Così ricostruiva, infatti, la non proprio tranquillissima giornata londinese: «Quattro grandi, pacifici cortei manifestano contro il G20 e attraversano una Londra blindata dalla polizia».

Pacifici? Citiamo a testimone non la stampa berlusconiana e neppure quella dei grandi banchieri, bensì l’Unità: «Al via il G20. A Londra assalto alla City». E subito sotto: «Scontri e feriti, mentre i Grandi preparano il vertice sulla crisi». Questo in prima pagina. Dentro, il titolo era «Ritornano i no global, scontri e assedio alle banche».
Liberazione ha visto un altro film, evidentemente. A volte, quando un giornale la spara grossa, si dà la colpa a chi fa i titoli, e si dice che poi nel pezzo c’erano concetti diversi. Ma in questo caso chi ha fatto il titolo ha rispettato alla lettera il contenuto del servizio dell’inviato a Londra, il quale parla, già dalle prime righe, di «manifestazioni tutto sommato pacifiche».

Non sappiamo che cosa abbiano «sommato» a Liberazione. Forse, se hanno fatto la somma del numero delle vetrine rimaste in piedi, del numero delle automobili non incendiate e del numero delle persone fisicamente presenti a Londra e rimaste illese, be’, se hanno fatto un calcolo simile, allora si può dire che il numero di vetrine tirate giù, di auto date alle fiamme e di persone finite al pronto soccorso, in effetti, è «tutto sommato» poco rilevante.

Resta l’impressione di un occultamento dei fatti, di una volontà di minimizzare che sembra parente stretta di un giustificazionismo strisciante. Tanto per citare qualcun altro, oltre a Liberazione. Beppe Grillo, l’altro ieri sera a La7, dopo aver equiparato le banche alla «criminalità organizzata», ha detto: «In Francia sequestrano i manager. Cominciamo ad avere segnali ottimi, direi». E ancora. Don Vitaliano Della Sala, che fa il parroco in provincia di Avellino, ieri ha annunciato che salirà sulle imbarcazioni dei no global che tenteranno l’assedio, via mare, all’isola della Maddalena in occasione del G8. La gente comune «è disperata e, quindi, è molto, molto arrabbiata», ha detto questo prete, che forse non sa che Gesù non ha chiesto ai poveri di fare la rivoluzione, ma ai ricchi di essere meno egoisti. I sequestri di persona e gli assalti alle banche di questi giorni per don Vitaliano sono solo «azioni simboliche»; quindi, l’annuncio del giorno del giudizio: «I potenti devono aver paura».

Intendiamoci bene. Che i «potenti» - o almeno una buona parte di loro: le generalizzazioni non ci piacciono, portano ai gulag e ai lager - abbiano spesso dato scandalo, è vero. Ieri Michele Serra ha scritto su Repubblica che, stando ai dati dell’Ocse, «negli anni Sessanta in Italia un presidente di azienda guadagnava 50 volte più di un operaio. Oggi, 300 volte di più» Il «gap tra ricchi e poveri è smisuratamente aumentato, non può non avere conseguenze sociali», ha aggiunto. Sono riflessioni condivisibili, anzi sono dati di fatto incontestabili. Anche noi del Giornale lo denunciamo da tempo: ieri Marcello Zacché ci ha fatto conoscere «le super-retribuzioni dei bramini dell’economia», e ha osservato che esse «urtano il buon senso». Anche perché non si tratta di retribuzioni dettate da un libero mercato e da meriti incontestabili: spesso certe cifre sono - ha scritto ancora Zacché - il frutto di autoretribuzioni di una casta di manager autoreferenziale. Serra è però meno convincente nelle conclusioni che trae dal suo ragionamento, e cioè quando dice che questa «nuda realtà» inevitabilmente porta a «ridare forza e significato a quella che una volta si chiamava lotta di classe». Poi, invita pure a trovare un sinonimo di quel termine - lotta di classe - se il problema sono le parole.

Un po’ sì, il problema sono anche le parole. Quando un Diliberto dice a Sky tg24, come ha fatto mercoledì, «Noi odiamo Berlusconi», il problema sono le parole. Quando un regista come il francese Gustave Kerven, presentando il suo film Louise-Michel che racconta di operaie che decidono di uccidere il padrone, dice «certo non condanno i sequestri di manager in atto nel mio Paese», e aggiunge che «i lavoratori dovrebbero essere più arrabbiati», il problema sono le parole. Una certa aria di consenso, ecco qual è - se non il problema - uno dei problemi. Anche le Brigate Rosse avevano cominciato con sequestri di manager «puramente dimostrativi».

E quel che ne seguì non ha certo giovato alla causa dei lavoratori, «tutto sommato».

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