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Rai, se i censori ora censurano Minzolini

I giornalisti "democratici" in piazza per la "libertà di stampa", ma vogliono costringere al silenzio il direttore del Tg1. Colpevole di aver detto la sua opinione. Il sindacato di redazione attacca: "Perso l’equlibrio". La replica: "Ecco chi è intollerante"

Rai, se i censori ora censurano Minzolini

L’ultima storia dovrebbe scomodare i maestri della logica, magari sarebbe piaciuta a uno come Bertrand Russell. Tutto comincia sabato sera, con un editoriale all’ora di cena. Augusto Minzolini è il direttore del Tg1, per anni ha consumato il Transatlantico, con un orecchio bionico che captava ogni sussurro politico, mezza battuta, uno straccio di indiscrezione. Quello che è successo, in fondo, se lo aspettava. Conosce i politici e i suoi colleghi giornalisti. La gente che era lì a Piazza del Popolo sta sfilando via. Sono fieri, nel volto. La libertà di stampa è a rischio e loro c’erano, a dirlo al mondo. Sono tutti fermamente convinti di avere ragione. La libertà è una, tutti gli altri sono servi del potere. Quando arrivano a casa vedono Minzolini in tv che parla. È un editoriale, lo strumento classico con cui tutti i direttori esprimono la propria opinione. Non sono fatti, è un cantuccio per dire «come la penso». E cosa fa Minzolini? Dice quello che pensa. Questo: «Lo dico senza spirito polemico. La manifestazione per la libertà di stampa per me è incomprensibile». Spiega, argomenta, esprime in pratica il suo pensiero. Il succo è che l’Italia non è il paradiso, ma lui fatica a credere che questo Paese sia imbavagliato. Il rischio magari è un altro, una sorta di guerra civile di parole tra gruppi editoriali. È una guerra dura, dove si vedono anche colpi bassi, dove non ci si risparmia, tutto quello che volete, ma non tocca la libertà di stampa. Qui non c’è un regime. Minzolini non comprende questo spettacolo di «resistenti» in piazza che evocano un fascismo che non c’è. Non usa queste parole, ma con un po’ di libera interpretazione si può tirare il suo pensiero fino a questo punto.
Attenzione, da giornalista e da direttore, Minzolini ha espresso un’opinione. Il suo editoriale non è una verità assoluta. Non è un editto. Può farlo? Tutti quelli che sono scesi in piazza per la libertà di stampa dicono di no. Minzolini è da censurare, licenziare, processare. Minzolini si è tolto la maschera. Minzolini sta con il potere. Minzolini, in quanto direttore del Tg1, deve comportarsi come un’ameba. Non può avere opinioni. Non può dire la sua. Non ha diritto come giornalista e direttore a esprimere liberamente quello che pensa. Va imbavagliato. Il direttore del Tg1 è una mummia, un giornalista dimezzato. O sta zitto o parli a favore della piazza.
È qui che si apre il paradosso. Si può andare in piazza a manifestare per la libertà di stampa e zittire chi non la pensa come te? Si è liberi di dire: secondo me la libertà di stampa, pensiero, informazione, parola, non è a rischio? Si può? O l’unica libertà che ci resta è sostenere che non c’è libertà? La libertà di stampa vale solo per quelli che protestano? E per Minzolini? Niente. Minzolini è il direttore del Tg1. Muto. Non nominare il nome dei «resistenti» invano. Il sindacato dei giornalisti dice che deve stare zitto. Il sindacato del telegiornale ripete che deve stare zitto: «Ai vertici aziendali chiediamo una convocazione urgente per esprimere le nostre preoccupazioni. Bisogna recuperare rispetto ed equilibrio». Il direttore replica al cdr del tg: «È la dimostrazione che c’è chi manifesta per la libertà di stampa, ma è intollerante verso chi ha un’opinione diversa». Ma anche la stampa «democratica» sostiene che deve stare zitto. L’opposizione alza la voce e dice: Minzolini stai zitto. Tutti all’improvviso si ricordano del servizio pubblico. Vedremo. E quando sarà Santoro a commentare, cosa accadrà? Lì il servizio pubblico se ne va a escort.
Nessuno riflette invece su quello che Minzolini ha detto. Ha parlato di un rischio, vero, che ogni santo giorno pesa sulla pelle di chi scrive. Qui ci sono due barricate, bianchi e neri, come nelle città del medioevo, dove non c’è più dialogo, non c’è più ragione, non ci sono più opinioni, ma verità intangibili. Questa è l’Italia dove il verdetto democratico non viene riconosciuto da una parte pesante del Paese e non c’è più compromesso. Non c’è una via di mezzo. Gli antiberlusconiani, dopo quasi vent’anni, si sono trincerati su una sola posizione: Berlusconi non deve governare. Questo e basta. Non c’è più prospettiva. Non c’è più futuro. Non c’è più tempo. Gli antiberlusconiani hanno smesso di pensare al domani e di fatto stanno abdicando all'idea di fare politica. Questo è il vero problema, perché quando si arriva al muro contro muro l’unica opzione è darsele di santa ragione. È questo il rischio di cui parlava Minzolini: «La difesa corporativa non fa bene all’autorevolezza dei media; specie in Italia, dove si ha una strana concezione del pluralismo dell’informazione. Ci sono giornali che si considerano depositari della verità e che giudicano gli altri che la pensano in modo diverso come nemici o servi: chi ha questa concezione, manifesta contro un ipotetico regime politico, per insediare un inaccettabile regime mediatico».
È libero Minzolini di dire tutto ciò? Si applica al signor Augusto Minzolini la libertà di stampa e di opinione? Se la risposta è no, allora chi è sceso in piazza aveva davvero ragione.

Ma doveva manifestare contro se stesso.

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