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La prima di re Sarkò a Versailles «No al burqa, umilia le donne»

ParigiTre quarti d'ora di discorso davanti a deputati e senatori, riuniti tutti insieme nella storica reggia di Versailles (in tutto 920 persone, meno una cinquantina di parlamentari comunisti e Verdi assenti per protesta). Questa la scommessa del presidente Nicolas Sarkozy per rilanciare la propria immagine di fronte all'opinione pubblica, scossa dalla crisi economica. Mai, dal lontano 1872, un presidente francese aveva parlato direttamente al Parlamento. In Francia questa forma di comunicazione è sempre stata vista con una certa perplessità, come se nascondesse qualche insidia istituzionale. La Costituzione stessa impediva fino a ieri all'inquilino dell'Eliseo di andare a parlare in forma ufficiale e plenaria a deputati e senatori. Adesso Sarkozy, che non perde occasioni per ritagliarsi addosso l'abito del rinnovatore, ha sfatato il vecchio tabù: ha fatto votare la riforma della Costituzione (su questo e su altri punti, che molti osservatori considerano in realtà secondari) e ieri è andato a Versailles a parlare al Congresso, come il linguaggio politico transalpino definisce la seduta comune dei due rami del Parlamento. La cerimonia è costata 400mila euro. Per alcuni è stato «il ritorno del re a Versailles» Per molti è stato l'inizio del «secondo tempo» del quinquennio di Sarkozy, eletto nel maggio 2007.
Il discorso è durato tre quarti d'ora ed è stato caratterizzato dal tono tipico del miglior Sarkozy: la determinazione, il volontarismo e l'apertura. Quest'ultimo termine è tanto più appropriato perché domani si conosceranno i contenuti del rimpasto di governo, reso indispensabile dal fatto che due ministri (quella della Giustizia Rachida Dati e quello dell'Agricoltura Michel Barnier) sono stati eletti al Parlamento europeo, dove per la verità Barnier si tratterà ben poco, visto che per lui è prevista una vicepresidenza alla Commissione di Bruxelles. Sarkozy potrebbe non limitarsi alla sostituzione dei due partenti e nel valzer delle poltrone potrebbe esserci - in omaggio alla parola d'ordine dell'«apertura» - spazio per qualche transfuga proveniente dai ranghi socialisti o da quelli dei centristi di François Bayrou. Vedremo.
Il punto chiave del discorso di Sarkozy è stato il bisogno di salvare e al tempo stesso rilanciare «il modello francese», inteso dall'Eliseo come cocktail di liberalismo e di intervento pubblico. Ecco Sarkozy lanciare un'idea: inventare la Francia del dopo-crisi, approfittando dell'attuale (difficile) situazione economica per indirizzare gli investimenti verso settori ricchi d'avvenire e rispettosi dell'ambiente naturale. Nell'immediato Sarkozy non ha alcuna paura del deficit economico. Per lui esistono però due strade: quella di una spesa pubblica sterile e - al contrario - quello di investimenti destinati a rinnovare l'apparato produttivo e le infrastrutture del Paese. Ecco dunque il presidente annunciare l'ulteriore indebitamento dello Stato (attraverso il ricorso al finanziamento popolare, con una sorta di mega emissione di Bot) allo scopo di finanziare i grandi progetti di modernizzazione. Sarkozy fa una promessa: le tasse non aumenteranno.
Un punto importante dell'intervento presidenziale è stato quello della laicità. In Francia si è molto discusso nelle ultime settimane dell'idea di varare o no una legge che proibisca alle donne di portare il burqa. La ministra delle Aree urbane Fadela Amara (che ha vissuto a lungo nelle periferie, dove ha fondato in altri tempi un'associazione dal nome provocatorio «Ni putes ni soumises», ossia «Né puttane né sottomesse») è favorevole alla legge anti-burqa perché ben conosce le condizioni e i simboli di sottomissione della donne in alcune famiglie islamiche. Ieri a Versailles, Sarkozy ha preso chiaramente posizione e ha chiesto al Parlamento di varare in tempi rapidi la legge per proibire il burqa: «Il problema non è di ordine religioso. Il burka non è il simbolo di una fede, ma è il simbolo dell'asservimento della donna».

Conclusione: «Il burka non è il benvenuto in Francia».

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