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Il referendum dei leghisti catalani: sì all’indipendenza dalla Spagna

MadridI più contenti domenica erano gli organizzatori. Neanche nel migliore dei loro sogni avrebbero immaginato che un referendum sull'indipendenza della Catalogna dalla Spagna senza nessun riconoscimento legale e realizzato in un piccolo paesino di ottomila anime potesse richiamare persino le televisioni degli Stati Uniti. Ma, come spesso succede, proprio i detrattori finiscono per essere il miglior sponsor, e la sproporzionata opposizione sollevata nei giorni precedenti il plebiscito ha garantito un successo inaspettato. Giornalisti, indipendentisti, curiosi e persino i falangisti sono accorsi ad Arenys de Munt, a qualche decina di chilometri a nord di Barcellona, per trasformare la votazione in un vero caso politico. Tanto che una sessantina di comuni sono già pronti a imitarlo e in Spagna si discute se si sia trattato di un aneddoto o dell'inizio delle rivoluzione indipendentista.
Con una simile attesa, ben 2.671 delle 6.500 persone con diritto al voto (i residenti con più di 16 anni), si sono recate alle urne facendo vincere il sì indipendentista con il 96% dei suffragi. La partecipazione (41%) è stata superiore a quella delle ultime europee (35%). Neanche la proibizione del Tribunale superiore di giustizia catalano, che aveva vietato al comune di Arenys l'autorizzazione per indire il referendum, ha fermato gli organizzatori. Le elezioni si sono tenute infatti in un locale parrocchiale - appoggiate solo ufficiosamente dalle autorità -, in un clima di autentica festa paesana.
Da subito è però stato chiaro che il risultato ufficiale era la cosa meno importante. Il vero successo era già stato ottenuto: attirare l'attenzione, aprire un dibattito e far vedere che in Catalogna buona parte dei nazionalisti sono a favore dell'indipendenza, almeno sul piano emotivo (i sondaggi parlano di circa il 20%). I repubblicani indipendentisti di Esquerra republicana de Catalunya (Erc) e i centristi catalanisti di Convergencia i Unió (CiU) prima della chiusura delle urne parlavano già di «una macchia d'olio che si sta estendendo a tutta la Catalogna», e davano appoggio a «qualsiasi consulta che nasca dall'iniziativa popolare».
L'effetto Arenys de Munt non si è fatto attendere. Secondo quanto ha detto al Giornale Jordi Fàbrega, presidente di una delle piattaforme che appoggiavano l'evento (Entesa del Progrés Municipal), sono già una sessantina i comuni pronti a ripetere il referendum. «Ci riuniremo a metà ottobre per stabilire quale sia il giorno migliore per fare il plebiscito tutti assieme», ha spiegato Fàbrega, che ha aggiunto: «Visto che la Spagna non ce lo lascia fare come comuni, lo faranno delle entità, come a Arenys».
Ad aumentare la risonanza dell'evento ci ha poi pensato l'amatissimo presidente del Barcellona Joan Laporta, sfilando venerdì in una manifestazione indipendentista per Barcellona nella quale ha assicurato ai media che, se fosse stato per lui, avrebbe «votato sì ad Arenys». Laporta sembra flirtare ultimamente con la piattaforma Reagrupament.cat di Joan Carretero, fresca di candidatura per le prossime elezioni catalane del 2010, per la quale il patron sarebbe uno sponsor d'eccezione.
Il referendum di Arenys cade oltretutto in un momento di tensione tra Madrid e Barcellona, quando si attende a giorni la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo sullo statuto d'autonomia catalano approvato due anni fa dall'esecutivo di José Luis Rodríguez Zapatero e al quale il Pp ha fatto causa. I giudici del supremo devono sostanzialmente decidere sulla costituzionalità di due punti: quello del preambolo dove si dice che la Catalogna è «una nazione» e quello in cui si afferma che in Catalogna «è obbligatorio conoscere il catalano», che, secondo il Pp, metterebbe in posizione di disuguaglianza alcuni spagnoli.
Se il plebiscito di Arenys de Munt ha acceso la passione degli indipendentisti catalani, ha paradossalmente complicato la vita allo stesso governo regionale, formato dai socialisti catalani (Psc), dagli indipendentisti di Esquerra (Erc) e dai verdi di Iniciativa (Icv). I socialisti, che non si sono fatti vivi al referendum di Arenys, hanno chiesto più calma ai loro soci di Erc.

Rovente, come sempre, è invece stato il commento del presidente della Comunità di Madrid Esparanza Aguirre: «Questi referendum al 96% mi ricordano i Paesi totalitari».

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