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Ho pena per me stesso perché avevo giurato che dell’inesistente caso Noemi non avrei mai parlato. Ho pena per tanti miei stimabili amici che hanno trovato la più formidabile delle scuse per giustificare un interesse morboso e contaminante: cioè che ne parlano gli altri, che è di moda, che insomma l’auto-assoluzione è di massa e il caso va bene dal parrucchiere come nelle pagine serie della politica. Attribuito a Berlusconi, il brutto che è annidato nel ventre molle di questo Paese, dentro di noi, ogni tanto riprende il sopravvento e allora non ce ne frega più niente, ci lasciamo andare senza rimedio, ci prende una sbronza collettiva mentre la palla di neve rotola e s’ingrossa lungo il pendio: solo che non è di neve. Il brutto che è in noi sfregia il capitano del Milan oppure scrive, come ha fatto Gad Lerner, che Berlusconi è «il vecchio bavoso che telefona di notte alle ragazzine» e che «ha perso il controllo delle sue facoltà mentali». Intanto colleghi anche dotati come Giuseppe D’Avanzo si avvitano in interrogatori senza un preciso capo d’imputazione, senza un’accusa sostanziale: ma fa niente, lo fanno tutti gli altri. Immagino qualcuno che fosse stato fuori dall’Italia e che una volta tornato provasse a chiedere: ma che è successo? Ecco: che è successo? Di che parliamo? Di noi.

Molto più di noi che di Berlusconi.

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