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Ricatto di Fini: "Premier si dimetta o lasciamo". Ma Berlusconi non cede: "Mi voti contro in aula"

Fini: "Il premier salga al Colle e apra la crisi" (video). La strategia dell’ex An: allargare la maggioranza ai centristi e cambiare la legge elettorale. Il premier: "Non lascio, mi voti contro". Discorso: due ore per rimpiangere Moro e Berlinguer. Scivolone: stessa citazione di Veltroni. BLOG Fini extraparlamentare

Ricatto di Fini: "Premier si dimetta o lasciamo". Ma Berlusconi non cede: "Mi voti contro in aula"

nostro inviato a Bastia Umbra (Pg)

Il ricatto di Fini arriva dopo estenuanti trattative interne nel Fli e dopo un frenetico giro di consultazioni con Casini. «Berlusconi apra la crisi o lasciamo il governo». Una manovra a tenaglia per pensionare il Cavaliere e contenere Bossi ma senza passare dal voto. Il tutto con la tacita - e non potrebbe essere altrimenti - benedizione del Colle. Parola d’ordine: scongiurare le elezioni.

Respingere il ricorso alle urne farebbe comodo a tutti: a Fini perché, checché ne dica lo stesso leader del Fli nel catino di Bastia Umbra, la macchina del partito non è ancora pronta. Ha acceso i motori ma ci sono da registrare bielle e pistoni: cosa che avverrà a Milano in gennaio. I sondaggi, poi, gli dicono ancora male e con questa legge elettorale i futuristi rischierebbero di prosciugarsi alla Camera e addirittura di sparire al Senato. Altro dilemma: in caso di elezioni con chi andare? L’anima più intransigente e spavalda del suo neonato movimento sarebbe pronta anche a superare gli steccati storico-cultural-ideologici e occhieggiare a un terzo polo. Ma a quella più identitaria e ancorata alla destra verrebbe l’orticaria a sentir parlare di accordi con altre forze tradizionalmente lontane.

Prima dell’offerta finiana di ieri, su questo si sono scontrati falchi e colombe del Fli. Due posizioni lontane tra chi ha fretta di pensionare Berlusconi, costi quel che costi, anche stringendo patti col diavolo. E chi continua a vedersi e sentirsi destra, lontano dalle sirene centriste e sinistrorse e del «facciamo come in Sicilia». Niente elezioni, quindi, soprattutto con questa legge elettorale. Ecco perché, astutamente, Fini ha inserito in quella che dovrebbe essere la «nuova agenda e il nuovo programma di governo» proprio una «nuova legge elettorale per cancellare quella in vigore che è una vergogna». Le motivazioni non sono affatto nobili ma opportunistiche. Due le ragioni: la prima è che con il modello in vigore per il Fli sarebbe la fine; la seconda è che, qualora Berlusconi non cedesse al ricatto e si aprisse la crisi, Fini potrebbe anche appoggiare un governo minestrone col compito di cambiare il Porcellum.

Sulla carta il governo pastrocchio nascerebbe solo con questo intento. Ma poi si vedrà. Una strada, questa, piena di insidie: i compagni di viaggio hanno ognuno un’idea diversa su quale legge elettorale sia la migliore. L’altolà alle urne è la parola d’ordine anche di Casini che, qualora la situazione precipitasse, potrebbe perdere altri pezzi della sua Udc. Già ha subito la scissione dei siciliani di Saverio Romano a fine settembre e tra le sue fila continua a serpeggiare il malumore. Alcuni centristi sarebbero infatti stufi della politica dei due forni e, non potendosi vedere a braccetto di Bersani, sarebbero tentati di andare in soccorso al Cavaliere. Ecco, quindi, che la proposta finiana di allargare maggioranza ma soprattutto governo all’Udc toglierebbe non poche castagne dal fuoco a Casini.

E poi il Colle: spettatore muto, come impone il galateo istituzionale, ma non certo disinteressato. Anche il Quirinale non farebbe i salti di gioia nel risolvere la crisi sciogliendo le Camere. Agli occhi di Napolitano si darebbe un’ulteriore immagine di instabilità; si esporrebbe il Paese al rischio di una speculazione finanziaria in periodo di crisi economica; si accentuerebbe un inevitabile clima da rissa in campagna elettorale. Quindi ben venga un Berlusconi bis, allargato pure ai centristi, capace di scongiurare l’altra opzione in campo: quella di un governo tecnico retto da forze che hanno perso le elezioni. Una scelta, questa, che seppur formalmente e costituzionalmente legittima lo esporrebbe al rischio di apparire come colui che benedice un ribaltone.

Alla stregua del peggior Scalfaro.

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