Il ricco bifronte: portafogli a destra e faccia a sinistra

Arturo Gismondi

Sappiamo di che è fatta la Legge finanziaria che è costata tanta fatica al governo, a occhio e croce quelli che ne parlano male sono più di quelli che ci trovano qualche cosa di buono. Fra questi ultimi sono i comunisti di Rifondazione i quali, come si sa, hanno pubblicato un manifesto, che occhieggia su qualche muro, e sui giornali che lo riproducono, con su effigiato un panfilo lussuoso sormontato dalla scritta “Anche i ricchi piangano”. Piangano, modo imperativo.
Il manifesto, in verità, non è stato un successo. C’è chi ha parlato di cattivo gusto, della esistenza a sinistra di uno spirito di classe maligno e vendicativo, per il quale il massimo è far piangere gli avversari, definiti “i ricchi”. Chi ha preso l’argomento più sul serio ha parlato di spirito primitivo, giacché in una società avanzata e moderna i ricchi esistono, e quelle società che hanno voluto abolirli, da Stalin coi kulaki a Pol Pot, sono finite con la rovina generale. A buttarla in ironia, come forse merita, si potrebbe suggerire a Bertinotti di guardarsi un po’ dattorno, di chiedere magari alla signora Lella, perché in fatto di ricchi c’è una fiorente umanità con il portafogli a destra e il cuore o la faccia a sinistra. Tant’è vero che non solo la testa di Confindustria ma i grandi giornali, segno infallibile in Italia delle preferenze dei grandi ricchi, sono dalla parte del governo. E nella nostra sinistra a dare l’impressione di essere scomparsi sono gli operai, mentre esiste, e si vede, una borghesia che nel suo snobismo di recente fattura non nasconde se stessa, le sue pompe, le sue opere, le sue barche.
A suscitare preoccupazione, passando alle cose serie, è il fatto che a leggere le aliquote previste dalla Legge finanziaria risulta che fra quelli considerati ricchi sono i percettori di redditi lordi pari a 70, 75mila euro, fra i quali non si annoverano proprietari dei panfili alla fonda nei nostri porti. La Stampa pubblica un articolo dal titolo Il tartassato dal quale risulta che il grande percettore nel mirino è un lavoratore dipendente che mette insieme, detratta la quota del 43 per cento e altre gabelle, un reddito mensile di 3.000 euro sul quale gravano e graveranno ancor più, soprattasse regionali e comunali che hanno di mira per lo più la casa. E ci andranno di mezzo i piccoli risparmi fatti per lo più di Bot tenuti in banca per salvarsi dall’inflazione. Per questi si prevede un aggravio della tassazione sulle rendite, definizione in certi casi alquanto pomposa, del 40 per cento.
A dire che il tutto si risolve in un attacco al ceto medio non è solo Tremonti. Lo aveva detto Clemente Mastella, ministro del governo autore della manovra il quale aveva definito l’operazione «un esproprio proletario dei ceti medi» e aveva minacciato di votare contro quando fosse arrivata in Senato. Si presume che Mastella, la legge-esproprio, la voterà. Prodi del resto ha parlato chiaro, quando ha detto che «se vado a casa io non ci vado da solo».
Tornando al manifesto di Rifondazione, non saranno i ricchi a piangere. E piacerebbe sapere intanto di chi è il panfilo effigiato, e quale bandiera batte.
a.

gismondi@tin.it

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