Cultura e Spettacoli

Riemerge il libro "padre" di tutti i naufragi

Scritto da un avvocato francese del Settecento, è stato riscoperto da Alfredo Chiàppori. A esso si sono ispirati grandi narratori come Verne e Conrad

Riemerge il libro "padre" di tutti i naufragi

Ci sono eventi così straordinari e totalizzanti che, a un’osservazione superficiale, sembrerebbero cancellare tutto il resto. Come se null’altro esistesse e non facesse parte dell’umana natura la cura di «necessità voluttuarie».

Si era nel pieno della seconda guerra mondiale e il filosofo Ortega y Gasset trovava il tempo per scrivere e pubblicare Sobre la caza, un trattato di arte venatoria... Si parva licet, nel 1916, il mio bisnonno se ne andava in Spagna con la moglie, per turismo... Certo, ognuno è figlio del proprio tempo, e l’avvocato Louis Deperthes, di Reims, tra codici e pandette, legge pure l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert ed è seguace (ahilui) di Rousseau. Eppure, come un Salgari ante litteram sogna di esplorare continenti misteriosi e solcare oceani sconfinati, sorretto da una monomania ossessiva: il naufragio. Non ha messo il naso fuori dal proprio studio, ma è un bibliofilo coi fiocchi e va arricchendo, giorno dopo giorno, la sua collezione di carte nautiche, planisferi, diari di viaggio. Tutto materiale incentrato sulle tragedie del mare. Sensibilità preromantica sul tema, o curiosità scientifica di un figlio dell’Encyclopédie? Deperthes, nonostante gli sforzi, non scioglie il dubbio e, per la pubblicazione a Parigi, presso l’editore Veuve Tarbé, dei suoi tre volumi tre, stampati in VIII, la sorte gli assegna una data infausta per qualsiasi opera letteraria di lungo respiro: il 1789. Chilometrico il titolo, secondo il costume del tempo: «Storie di Naufragi, ovvero Raccolta delle più interessanti Relazioni di Naufragi, Svernamenti e altri Eventi funesti in Mare, che sono stati pubblicati dal XV al XVIII Secolo». L’opera ebbe anche l’onore di una ristampa in pieno Terrore, cioè nell’anno III della Costituzione, presso l’editore Cuchet, e di vari altri rimaneggiamenti per tutto il XIX secolo.

Uomo dei Lumi, Deperthes si preoccupa di specificare che la sua raccolta esclude «le narrazioni che offrono soltanto particolari inverosimili, ripugnanti, senza scopo istruttivo per il lettore delicato». E afferma di aver «molto studiato le terribili condizioni di vita dei marinai sulle navi, per cui sono convinto di essere riuscito nell’impresa di comporre una galleria di quadri toccanti e variegati, in grado di commuovere le anime sensibili e desiderose di conoscenza». Al di là dell’intento fastidiosamente pedagogico, resta però l’omaggio alle avventure del mare, grande passione dell’autore dissimulata tra le informazioni pseudo-scientifiche.

Dell’opera si accorgono in tanti. Da Jules Verne, che vi attinge a piene mani, a Joseph Conrad, sicuro lettore di Deperthes. Mentre Daniel Defoe dalla storia vera del marinaio scozzese Alexander Selkirk (in precedenza raccontata dal capitano Woodes Rogers in A cruising voyage round the world del 1712 e da Robert Steele, un anno dopo, in The Englishman), trae ispirazione per il suo Robinson Crusoe. Poi l’oblio. Nel 1789, che cosa poteva accadere, oltre alla Rivoluzione francese e alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo? Fino a quando...

Fino a quando il grande disegnatore Alfredo Chiàppori, più di due secoli dopo (cadeva il Muro di Berlino...), andando per bancarelle di libri usati in largo Cairoli a Milano, non rinviene tre volumetti in brossura dalla copertina azzurra. Il titolo è Storie di Naufragi (Martello Editore, Milano, 1968). Del traduttore non si fa menzione e, a detta di Chiàppori - esperto di mare - non è una gran perdita, dato il linguaggio ottocentesco e le gravi imprecisioni della terminologia marinaresca. Ma quelle pagine profumano ancora di salmastro... Chiàppori ne è affascinato e decide di riscriverle completamente, rendendo tardivo e rinnovato onore all’avvocato illuminista Louis Deperthes con l’opera La follia del mare. Storie di naufragi e svernamenti (Mursia, pagg. 270, euro 16). Diciannove capitoli in cui, con linguaggio ironico e assoluto rigore filologico (le descrizioni dimostrano una grande competenza tecnica e potrebbero tranquillamente essere opera di un Patrick O’Brian...), si raccontano altrettanti tragici e rocamboleschi naufragi.

Il filo conduttore è la stessa passione che aveva spinto l’oscuro avvocato di Reims a cercare l’avventura tra le pareti della sua biblioteca e che ha condotto il bibliofilo Chiappori a frugare in una bancarella con lo spirito di chi diseppellisca un tesoro dei pirati nell’isola di Tortuga. Tra onde alte come condomini che sbriciolano barche inaffondabili, secche insidiose in cui si incagliano i più esperti capitani, pirati dal volto umano, bonacce e fortunali, orizzonti senza fine, resta, per dirla col Conrad de Lo specchio del mare, «la voce dell’uomo, ad imprimere il segno della consapevolezza umana». Diciannove storie vere che esprimono l’ansia, tipicamente umana, di confrontarsi con una natura che sa essere provvida e matrigna. Per denaro, sete di avventura, ansia di conoscenza, semplice desiderio di sfida. Si susseguono i resoconti della mitica ricerca del «Passaggio a Nord-Ovest», tra la morsa dei ghiacci perenni, di tragiche spedizioni di salvataggio su coste australi sconosciute, di incursioni in Africa, nella terra dei cafri (parola derivata dall’arabo, che significa «infedeli»).

Si passa dalle Indie Occidentali all’Atlantico, alle Antille, al Pacifico, al Mar dei Sargassi. Alcuni esempi di queste storie straordinarie? I superstiti di una spedizione olandese salpata dal porto di Batavia l’8 novembre del 1658 alla volta di una «terra australe sconosciuta», finiscono su un’isoletta abitata da un eremita malese e vengono successivamente rapiti dai Vaganti, pirati assassini che, allucinati dall’oppio, commettono i loro delitti al grido di «Amock! Amock!», che vuol dire «uccidere». I Vaganti, però, si commuovono al racconto delle traversie degli sventurati e li rilasciano col loro sampan a Djapara, dove talvolta approdano navi europee.

Quattro agosto 1756. Il brigantino «Betsey», guidato da Philip Aubin, naufraga durante un viaggio alla volta del Suriname. Tra i superstiti, il cane del capitano, Tommy che, col suo sangue e i poveri resti, consentirà agli uomini di sopravvivere fino all’approdo in una terra ospitale abitata da indigeni pacifici e amichevoli.

Gennaio 1708. Doppiato Capo Horn, i vascelli britannici «Sea Eagle» e «Sea Hawk» navigano fino alle Isole Juan Fernández. La loro spedizione si inquadra nelle operazioni militari della Guerra di successione spagnola, condotta dalla «Grande Alleanza» (formata da Inghilterra, Olanda, Portogallo, Impero Asburgico e Prussia) contro le navi spagnole e francesi. Mentre il «Sea Eagle» resta alla fonda al largo, il «Sea Hawk» raggiunge l’isola minore di Más a Tierra, per far provviste di acqua, legna e selvaggina, nonché di frutta e verdura fresche. Il capitano Dampier raccoglierà a bordo lo scozzese Alexander Selkirk, vestito di pelli di capra, la barba e i capelli neri lunghissimi. Era stato un suo marinaio nel 1703, salpando da Bristol sul «Seven Saes». È lui il Robinson Crusoe di Defoe. Completamente rimessosi, continuerà a navigare. Farà naufragio due anni dopo, nel grande oceano col veliero «Neptune», su cui s’era imbarcato come nostromo.

La follia del mare gli aveva concesso solo un rinvio.

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