Politica

Le riforme silenziose che servono al mercato

Verrebbe voglia di dire che quando questo governo si sveglia e fa qualcosa di destra, di destra liberale, fa bene. Il caso Fiat, e il referendum Mirafiori, è una di queste occasioni. Ieri il presidente del Consiglio si è limitato a dire, sulla vicenda, alcune frasi di buon senso, ma che danno il tono della sua politica economica: nel caso in cui il referendum bocciasse l’intesa raggiunta «le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi».

Berlusconi si è augurato ovviamente che i sì prevalgano e che dunque la Fiat resti italiana. L’opposizione è insorta: si va dall’alto tradimento sventolato dal presidente della Regione Puglia, che sembra stare ovunque tranne che a Bari, all’urlo «vergognati» del segretario del Pd. Per carità di patria non elenchiamo la lunga lista di contumelie che si è beccato il premier. Ma, non fosse altro che per sottrazione, il punteggio di un governo che fa da sponda alla rivoluzione di Marchionne è più che positivo. Tra le tante balle che hanno caratterizzato l’agnellismo, una continua ad avere un certo commercio nei nostri retropensieri: solo un governo di sinistra può fare riforme di destra.

Ebbene, l’atteggiamento del governo Berlusconi sulla vicenda Fiat è stato, per una volta, perfetto e riformatore rispetto ai costumi del passato. Gli imprenditori non si aiutano con i convegni sulla politica industriale. Il lavoro, tocca metterselo una volta per tutte in testa, non si crea salvando le imprese morte. Le fabbriche non si gestiscono con gli incontri a Palazzo Chigi tra sindacati, Confindustria e politici.

Berlusconi ieri ha gettato a mare (speriamo che non si faccia nei prossimi giorni trasportare dal suo fianco populista) un’idea assurda di politica industriale. I governi, e quello attuale deve fare ancora molta strada, debbono piuttosto mettere le imprese nelle condizioni migliori per operare: meno burocrazia, tasse non penalizzanti e fattori produttivi, tipo energia, a costi competitivi. Per il resto è il mercato che decide la sopravvivenza delle imprese.

Nessuno si augura che la Fiat vada a produrre all’estero. Ma nessuno può oggi ragionevolmente pensare che per trattenere una fabbrica in Italia si adottino quelle vecchie politiche industriali fatte da un impasto di veterosindacalismo e aiuti di Stato che ci trasciniamo da troppi anni.

Si ha l’impressione che gli operai abbiano capito più dei politici di sinistra (con alcune lodevoli eccezioni, tipo Renzi) questa realtà.

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