Controstorie

La riscossa delle saudite incomincia con lo sport

Riad si sta aprendo al mondo e alle donne. Molti divieti oggi sono diritti. Ma c'è altra strada da fare

La riscossa delle saudite incomincia con lo sport

Halah Al-Hamrani ha aperto una palestra chiamata Flag, acronimo per lo slogan «Fight like a girl», «combatti come una ragazza». Sebbene gli sport da combattimento siano ancora considerati svaghi maschili da alcuni sauditi, hanno iniziato a diventare un passatempo anche per le donne. Halah ha partecipato a incontri in tutto il Regno per dimostrare che è possibile per le donne praticare ogni sport, sentirsi forti ma essere ancora una donna. Oggi, le donne hanno capito che «non hanno necessariamente bisogno degli uomini per la loro protezione», ha precisato. E secondo Halah questa mentalità aiuta chi pratica queste discipline che richiedono auto-motivazione, autocontrollo e sono un toccasana per la salute mentale. Questo è solo una goccia nel mare della potente rivoluzione che sta attraversando l'Arabia Saudita sui diritti delle donne. La riscossa delle saudite passa infatti anche per lo sport che diventa la loro nuova frontiera. Ora le donne del Regno possono praticarne molti ritenuti in passato illeciti. Equitazione, jogging, judo, calcio. E anche il golf. A novembre 2020 si è tenuto infatti vicino a Edda sul Mar Rosso il primo torneo di golf femminile. Il Saudi Ladies International Golf Tournament ha portato stelle internazionali del golf femminile. Tra queste l'atleta marocchina Maha Haddioui che ha sottolineato come l'evento sia una «nuova pagina» per il golf e il Paese arabo. «L'Arabia Saudita si sta aprendo al mondo, alle donne», ha aggiunto.

Da quando Mohammed bin Salman è stato nominato principe ereditario, nel 2017, ha attuato una serie di riforme dei costumi per spazzare via gli aspetti più ultraconservatori del Paese. Ha permesso alle donne saudite di viaggiare all'estero senza il permesso del tutore maschio, padre, fratello o marito, e nel 2018 ha posto fine al divieto alle donne di guidare. E poi dal 2019 le donne non hanno più l'obbligo di indossare la tradizionale «abaya», l'ampio abito nero che copre tutto, da testa a piedi. Ma questi non sono solo casi isolati. Nel 2012 le atlete saudite hanno avuto l'autorizzazione a partecipare alle Olimpiadi tenutesi a Londra. Sarah Attar ha corso gli 800 metri e Wodjan Ali Seraj Abdulrahim Shahrkhani ha gareggiato nel judo. Ed è ormai consentito alle donne frequentare gli stadi per assistere alle partite di calcio. Inoltre una parte delle saudite si dedica al jogging. Un'attività fino a poco tempo fa considerata immorale, anche se nessuna legge l'abbia mai vietata. Nel marzo 2018 un gruppo di donne a Gedda ha celebrato la giornata internazionale della donna esercitando questa libertà appena acquisita: il diritto di fare jogging. Si vedevano decine di saudite saltare di gioia mentre percorrevano i vicoli assonnati davanti a negozianti perplessi. Il governo ha pure introdotto l'educazione fisica per le ragazze e ha iniziato a concedere licenze ai club sportivi femminili. «Questo è solo l'inizio di una rivoluzione per le donne in Arabia Saudita. Nel lavoro, nella nostra vita, nella società, tutto cambierà per le donne del Regno», ha confermato la studentessa universitaria Sama Kinsara.

Ma le conquiste non si fermano. Nel 2018 la palestra Legendary Heroes di Gedda ha organizzato il primo torneo femminile di ju-jitsu brasiliano e kickboxing, con la partecipazione di circa 40 concorrenti. Poi c'è la storia di Amirah A-Turkistani che, quando ha lasciato Boston nel 2015 dopo aver conseguito una laurea, gli amici hanno preso in giro per la sua decisione di spedire la sua amata bicicletta color pistacchio a casa in Arabia Saudita. «Mi hanno detto: Cosa ne farai a Gedda, la appendi al muro?». Girare in bici in pubblico era impensabile all'epoca nel Regno. Ora Amirah pedala spensierata sulla corniche del mare di Gedda, da sola o con il marito e i figli, e indossa l'abaya. Ma invece del tradizionale nero, sceglie tra diversi colori pastello che ha disegnato lei stessa. «Gedda oggi non è la stessa di cinque, sei anni fa», ha raccontato.

Secondo il ministro dello Sport Abdulaziz bin Turki al-Faisal, la partecipazione delle donne allo sport in Arabia Saudita è aumentata di circa il 149% dal 2015. A febbraio 2020, il Regno ha lanciato il suo primo campionato di calcio femminile. E a dicembre 2019 al Diriyah Equestrian Festival è stato anche permesso alle donne di cavalcare al fianco di cavallerizzi maschi per la prima volta. La modernizzazione dei costumi fa parte dell'ambizioso piano del principe, la Vision 2030, che intende diversificare l'economia del Paese, non solo dipendente più da gas e petrolio, ma con la promozione del settore privato e della partecipazione delle donne alla forza lavoro. Ma Mohammed bin Salman ha lanciato anche il primo codice civile da affiancare alla Sharia, la legge islamica. Le nuove riforme includeranno anche un limite di età minima per i matrimoni e la concessione alle donne di maggiori diritti contrattuali coniugali. Le aperture hanno ricevuto elogi dalla comunità internazionale ma sono state anche accompagnate da un'ondata di repressione del dissenso politico. Come l'incarcerazione di Loujain Al-Hathloul, attivista che si è battuta per i diritti delle donne, in particolare per il diritto di guida, scarcerata il 10 febbraio dopo le pressioni Usa. Oppure la barbara uccisione nel 2018 del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi, fatto a pezzi da agenti sauditi nel consolato di Istanbul. Il vento sta cambiando. C'è un nuovo inquilino alla Casa Bianca, Joe Biden, che non vuole più chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani.

Riad dovrà tenerne conto.

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