Scienze e Tecnologia

In ritardo e tra le polemiche arriva il WiMax

Partono le gare per la rete senza fili che combatterà il digital divide. Ma Restano i rischi di monopolio, con licenze forse troppo longeve che tagliano fuori le Regioni

In ritardo e tra le polemiche arriva il WiMax

Finalmente il ministro Gentiloni ha presentato la procedura di assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze WiMax in Italia. In dettaglio, l’Italia del WiMax è divisa in 7 macroregioni (Lombardia-Bolzano-Trento; Valle d'Aosta-Piemonte -Liguria-Toscana; Friuli Venezia Giulia-Veneto-Emilia Romagna- Marche; Umbria-Lazio-Abruzzo-Molise; Campania-Puglia-Basilicata- Calabria; Sicilia e infine Sardegna). In ogni macroregione saranno assegnate due licenze, necessariamente a due provider diversi in modo che nessuno possa essere monopolista in una determinata area. Nulla vieta invece che lo stesso soggetto concorra in più macroregioni, eventualmente tutte e sette; in questo modo, a livello puramente teorico, se vince dappertutto può anche creare un network nazionale.
Le altre 21 licenze invece saranno assegnate su base regionale, dando la precedenza a operatori non in possesso di licenze Umts; in pratica, licenze di serie B che non potranno andare a nessuno dei quattro operatori di telefonia cellulare Tim, Vodafone, 3 e Wind, mentre saranno agevolati i provider locali.
Scopo dichiarato dell’utilizzo delle frequenze è quello di coprire aree geografiche più difficilmente raggiungibili (o di scarso interesse) per gli operatori, contribuendo in modo decisivo alla riduzione del digital divide, dando loro connessioni Internet ad alta velocità in un raggio di circa 50 chilometri dal singolo punto di propagazione.

Verrà quindi, a breve, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il bando per l’assegnazione dei diritti d’uso di 35 licenze. Dureranno 15 anni e saranno rinnovabili. L’unico limite è che per vendere le licenze ottenute tramite la gara sarà necessaria l’approvazione del ministero.
Per essere ammessi all’asta è necessario che nell’oggetto sociale del richiedente ci sia menzione delle attività connesse all’utilizzo dei diritti d’uso. Inoltre, lo statuto sociale deve prevedere una durata dell’attività d’impresa pari almeno a quella dei diritti d’uso. Inoltre, il richiedente deve essere titolare di autorizzazioni generali per le reti e/o i servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, o perlomeno che possa dimostrare la propria idoneità tecnica e commerciale nel settore. Infine occorre che sia o si impegni a costituire una società di capitali.
Molto interessante è anche la parte che riguarda le garanzie da dover prestare per poter esercitare una simile attività. Ci vuole una significativa presenza sul territorio, ma soprattutto viene richiesto “un particolare impegno nelle aree a digital divide”.

Sembrerebbe tutto splendido, ma i dubbi non mancano. La prima contestazione riguarda gli ingenti requisiti economici che dovranno essere posseduti dalle imprese al fine di poter partecipare fattivamente all’asta per l’assegnazione delle frequenze, che avrà un valore complessivo di 45 milioni di euro. Il timore, ovviamente, è che restino esclusi tutti i piccoli provider e si crei, anche per il mercato del WiMax, un oligopolio di fatto tra i “soliti noti”.
Critiche sono giunte anche dall’associazione Anti Digital Divide, che paradossalmente dovrebbe essere la più soddisfatta viste le dichiarate finalità di diffusione della “banda larga” anche ad aree geograficamente disagiate. In effetti, però, la soddisfazione è parziale visto che la procedura ministeriale prevede un termine di 30 mesi superato il quale, nel caso in cui l’aggiudicatario della licenza non sfrutti completamente le frequenze assegnate, dovrà soddisfare, sulla base di negoziazioni commerciali, le richieste di soggetti terzi interessati a sfruttare le frequenze ancora non adoperate. Il problema sta proprio nell’attività di negoziazione commerciale, che potrebbe estendersi all’infinito e comportare, di conseguenza, il mancato sfruttamento di alcune frequenze come situazione di fatto. Anche il termine di 15 anni, previsto come durata standard della licenza, è stato valutato come eccessivo, in quanto potrebbe far adagiare gli assegnatari delle licenze a non realizzare tempestivamente l’infrastruttura di rete, obiettivo che, invece, sarebbe stato raggiunto mediante una previsione più breve della durata delle licenze.


Critico anche il deputato diessino Franco Grillini, che avrebbe preferito che all’asta potessero partecipare anche le Regioni per poter offrire gratuitamente la connettività ai cittadini, seguendo l’esempio di alcune città statunitensi.

Commenti