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Una rivolta che fa tremare i Paesi islamici

Modernità delle masse giovanili e opinione pubblica globale spaventano i leader. I primi perdenti della rivolta sono i clienti dei mullah, come Hamas e Hezbollah

La rivoluzione che scuote l'Iran ha qualcosa di nuovo e di antico. Di nuovo perché dimostra che nello scontro fra popolo e teocrazia la moschea non riesce a neutralizzare con la violenza delle armi la non violenza elettronica delle masse. (l'uso dei messaggi tweet nei telefonini è ciò che anche distingue la Piazza dei Martiri di Teheran dalla piazza Tienanmen di Pechino). Di vecchio, dopo le fallite rivoluzioni nazionaliste arabe di Nasser, del Baath siro-iracheno e di Arafat, in questa rivolta di popolo per la libertà c'è qualcosa delle rivoluzioni europee del 1848, nel senso che contagerà i regimi autocratici medio-orientali provocando - come avvenne in Europa col passaggio dallo Stato dinastico allo Stato nazional-democratico - l'apparizione di Stati basati su legittimità diverse dalle attuali. In attesa di saperne di più cerchiamo di identificare i fattori di combustione più evidenti di questa straordinaria e tragica epopea.
1. In Iran, sono in corso due lotte. La lotta della strada contro la moschea e la lotta dentro la moschea. In quest'ultima la «vecchia guardia religiosa» dei compagni di Khomeini (Moussavi, Rafsanjani ecc.) vuol difendere i propri privilegi e le ricchezze acquisite ma non abbattere la teocrazia. Tra la «nuova guardia» guidata da leader più giovani come Ahmadinajad e dal figlio della «Guida suprema» Khamenei, la preoccupazione per la legittimità religiosa è inferiore a quella per il mantenimento del potere. In questo senso potrebbero definirsi «laici» e, alla rovescia, ricordano qualcosa dello scontro fra Trotzky e Stalin all'interno della «chiesa» comunista.
2. Anche se la rivolta per la libertà verrà soffocata nel sangue in Iran, il fatto che le masse, anche senza leader e idee ben precise, possano sfidare con «twitter» e con l'appoggio dell'opinione pubblica globalizzata, i manganelli e i fucili dei pretoriani del regime, fa tremare i leader dei paesi arabi musulmani dal Marocco al Pakistan. Il trasferimento del grido di battaglia «Allah Akbar» dal campo degli islamo-fascisti a quello degli islamo-liberali è una scossa tellurica per la moschea politica di cui è ancora difficile intuire le conseguenze...
3. Nell'immediato, i perdenti sono i clienti esterni del regime iraniano, gli Hezbollah del Libano e Hamas a Gaza. Con una ripetizione a rovescio e da farsa dell'invio dei «volontari» fascisti nella guerra civile spagnola, queste organizzazioni militanti islamiche hanno inviato gruppi di «volontari» per reprimere la rivolta a Teheran.
Di converso Israele appare temporaneamente vincente vedendo stornata l'attenzione internazionale dalla questione palestinese e diminuita la pressione di Washington sugli insediamenti. Per tastare le reazioni americane, Netanyahu ha autorizzato da un lato la costruzione di 300 nuove abitazioni nelle colonie ebraiche ma dall'altro ha indorato la pillola agli americani e ai palestinesi smantellando decine di posti di blocco che ostacolavano i movimenti in Cisgiordania.
4. Obama deve affrontare una situazione difficile e per lui imbarazzante. La sua strategia della mano tesa si è scontrata con un muro di ostilità e sospetto a Teheran. La Guida Suprema venerdì scorso ha svelato con disprezzo la lettera che Obama gli aveva inviato in tutta segretezza per sviluppare quel «dialogo col nemico» che a Gerusalemme ricorda l'illusione pacifista di Chamberlain con Hitler. Obama non è certo Chamberlain, ma si rivela più debole di quanto la sua carismatica personalità faccia pensare. Ha spedito una missione a Pechino per assicurarsi che in caso di proposta di condanna dell'Iran al Consiglio di sicurezza la Cina non ponga un veto che la trasformerebbe assieme alla Russia nel vero manipolatore delle crisi medio-orientali. Ha spedito un'altra missione in Siria, dove ha riaperto l'ambasciata a Damasco per controllare da vicino il Paese.
5. L'Europa sta sorprendendo molti suoi critici con prese di posizione contro il regime di Teheran che grazie al suo peso economico potrebbero dimostrarsi più efficaci di quello di Washington. Si apre comunque per la Comunità un’occasione per ridare un lustro al suo prestigio politico.
6. Resta infine pericolosamente aperta la questione del nucleare. Chiunque vinca in Iran, non accetterà di sottoporre al controllo straniero una industria che si è trasformata in simbolo di orgoglio e potenza nazionale. Attualmente il nucleare è nelle mani di Ahmadinejad e dei Pasdaran. Assumerne la responsabilità potrebbe essere una tentazione per l'esercito che sino a ora si è tenuto fuori dalla mischia, in attesa che emerga il vincitore.

Non sarà una sorpresa se alla fine questa rivolta risveglierà la vocazione nazionale persiana in opposizione a quella attuale rivoluzionaria islamica.

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