Cronaca locale

La rivoluzione di Scola tra Dossetti, Cl e Pisapia

L’arrivo del nuovo vescovo cambierà i rapporti con la politica. Giunta comunale divisa tra i possibili traghettatori e i pasdaran

La rivoluzione di Scola  
tra Dossetti, Cl e Pisapia

Per capire l’ambiente in cui si muo­verà il nuovo, appena scelto, ve­scovo di Milano cardinale Ange­lo Scola, non ci si può non riferire anche agli ambienti della giunta Pisapia. Certo,il cardinale è molto aperto nell’ap­pr­occio culturale alle questioni della po­litica: come hanno più o meno subito sot­tolineato anche i martiniani don Virgino Colmegna e, con una punta di entusia­smo in meno («ci spera anzi ne è sicu­ro »), don Gino Rigoldi. A Venezia il sinda­co di centrosinistra Giorgio Orsoni ha contato molto per la sua elezione su con­­sistenti fette dell’establishment cattoli­co.

Ma, appunto, Orsoni ha potuto di­sporre di un «establishment» pluralisti­co non di una tendenza radical-dosset­tiana come quella che appoggia oggi Giu­liano Pisapia. D’altra parte il nuovo sindaco ha basi politiche non ampissime: c’è il «circolo famigliare» di Carlo De Benedetti (di cui Pisapia è avvocato, mentre Bruno Tabac­ci fa sempre più parte degli «intimi», il giornalista del «gruppo» Gad Lerner fa il raccoglitore di sostenitori,e dalla fami­glia Boeri variamente impegnata a sini­stra provengono menti per la Fondazio­ne Debenedetti); c’è una vasta ma poco affidabile area di ribellismo sia di giova­ni sia di giovani ormai «in pensione»; e c’è un consistente strato di arroganza snobistica altoborghese. 

Mancano solidi supporti come sono stati ceti medi e borghesia moderata per lunghe fasi del centrodestra, e larghi settori popolari per il riformismo socialista.
Da qui la necessità di affidare un ruolo strategico a una cordata di cattolici democratico-dossettiani come li definisce Vito Mancuso sulla Repubblica, da Maria Grazia Guida a Marco Granelli a diversi altri assessori: da costoro viene un legame con alcuni decisivi banchieri di riferimento con conseguente rapporto privilegiato con il Corriere della Sera, un rapporto con alcune delle ali più dure del giustizialismo, un nucleo di attivisti molto motivati ideologicamente.

Come proprio Mancuso spiega questi «cattolici» hanno un approccio alle questioni morali come questioni essenzialmente personali, non pubbliche, e insieme considerano quasi sacrali le funzioni istituzionali con un tratto in questo senso di puritanesimo nella sfera pubblica che quasi appare più caratteristico di certe tendenze protestanti che della tradizione cattolica. In qualche molto contrapponendosi a chi nella comunità dei fedeli vuole leggi ispirate a una morale non solo cattolica ma largamente «naturale» e insieme non s’impanca in un processo di sacralizzazione dello Stato, riservando piuttosto grande spazio all'autorganizzazione della società.
Insomma siamo di fronte a una tendenziale diversificazione culturale in campo cattolico che naturalmente troverà un cardinale assai aperto al dialogo come ha dimostrato anche da patriarca di Venezia e un sindaco che, grazie anche al metodo acquisito dalla stessa Repubblica, vedrà alternare lotte dure al «nemico» (si sono viste le prime prove peraltro un po’ sballate contro Letizia Moratti e quelle più militarmente incisive contro i dirigenti non allineati) alle più larghe aperture verso chi assisterà neutrale alle rese dei conti che non mancheranno.

Riuscirà Pisapia a controllare in questo senso l’odio anticiellino (talvolta specificamente antiformigoniano, talvolta più contro la Compagnia delle opere) di uomini decisivi nell’impostazione della giunta Pisapia come Tabacci o l’ispiratore Marco Vitale, storico assemblatore di morale e affari? Forse l’arrivo del nuovo cardinale aiuterà a reprimere alcuni degli istinti più aggressivi in circolazione.

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