Roma

Rom, le normative ci sono ma Veltroni fa finta di nulla

Il decreto legge 30/07 ha recepito le direttive Ue in cui si prevede un «giro di vite»

Qualche giorno fa sommessamente suggerivamo al sindaco Walter Veltroni di prendere esempio dalla «sindaca» di Pavia, Piera Capitelli, diessina come lui. La quale non solo si è rifiutata di fare un altro campo nomadi, ma ha sollecitato al prefetto l’allontanamento dall’Italia di duecento rom di un accampamento dove regnano la violenza dei capi e la sopraffazione, nonostante siano cittadini comunitari. E Veltroni ha varato la task force di vigili che ha preso di mira accattoni, lavavetri, parcheggiatori abusivi. Bene.
Ma anche in questa circostanza si può osservare la differenza che passa tra un’operazione di immagine, cioè di propaganda, e l’amministrare. A Pavia il sindaco si è appellata a un decreto legge che certamente Veltroni non può ignorare. È il numero 30 varato, in gran silenzio, dal governo Prodi il 6 febbraio di quest’anno e che si occupa di immigrazione di cittadini da Paesi appartenenti all’Unione europea, come Romania e Bulgaria. Si limita a recepire le direttive emanate dall’Ue fin dal 2004. Solo che poi lo hanno insabbiato.
Che cosa prevede? Semplice. Stabilisce il diritto di ingresso e di soggiorno nei primi tre mesi senza particolari formalità per i cittadini comunitari e i loro familiari (anche se di uno Stato non Ue). Ovviamente non si tratta di un diritto assoluto. Sia ingresso che soggiorno possono essere vietati «per motivi di ordine pubblico».
Ma il bello arriva con l’art. 9. Dopo tre mesi dall’ingresso in Italia c’è l’obbligo - ripeto, l’obbligo - di iscriversi all’anagrafe. E l’iscrizione può essere concessa dai nostri pubblici funzionari solo a queste condizioni: che l’immigrato capo-famiglia abbia e dimostri di avere una casa e un lavoro. Oppure disponga - sempre dimostrandolo - di risorse economiche per sé e i propri familiari «sufficienti a non gravare sul sistema di assistenza pubblica». E - udite, udite - deve essere titolare di un’assicurazione sanitaria che copra tutti i rischi e valida sull’intero territorio nazionale. Senza il rispetto di queste condizioni non si può restare in Italia. In ogni caso, il soggiorno può essere revocato in ogni momento (così recita l’art. 20) nei confronti di coloro i cui comportamenti abituali «rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica». E questi signori devono ricevere dal prefetto un provvedimento di allontanamento dall’Italia.
È evidente quindi che la caccia ai lavavetri, ai parcheggiatori abusivi, ai mendicanti è piuttosto riduttiva, oltre che un po’ facile. La questione è un po’ più complessa. Si tratta di attrezzare gli uffici anagrafici. Istituire - qui sì - task force, vere, magari con l’ausilio dell’Opera Nomadi che conosce perfettamente quali sono i capoclan che non possono rimanere in Italia. E così via. Insomma, signor sindaco: faccia meno conferenze stampa e studi di più le norme.
pierangelo.

maurizio@alice.it

Commenti