Cronaca locale

Minacce e aggressioni alle donne, così gli egiziani dettano legge negli alloggi del Comune

Almeno due aggressioni contro le donne e minacce agli inquilini: così una famiglia di egiziani ha militarizzato il Caat di via Tineo, dove il Comune di Roma ospita centinaia di persone in emergenza abitativa

Minacce e aggressioni alle donne, così gli egiziani dettano legge negli alloggi del Comune

"Lì dentro è invivibile, la gente gira armata, girano tutti coi coltelli". Chi è passato per il Caat di via Tineo descrive il residence come un fortino militarizzato dove lo Stato non arriva. L’unica legge da rispettare lì dentro è "la legge di Fathy".

Fathy Torkey è il capo della famiglia egiziana che da anni, de facto, gestisce la sicurezza all’interno dell’edificio. Uno dei quindici centri di assistenza alloggiativa temporanea della Capitale dove il Comune di Roma accoglie chi è in attesa di una casa popolare. A raccontarci il clima che si respira all’interno del Caat sono le fonti del Giornale.it, che per timore di ripercussioni non vogliono rivelare la propria identità. "Se quel residence fosse stato gestito da italiani sarebbe diverso – ci dicono - lì invece ci sono persone straniere che dormono sotto i nostri garage e che sono arrivati anche a picchiare i nostri bambini". "Gran parte di loro sono stati costretti a mandarle via – prosegue il racconto – perché non erano in regola". "Ovviamente – ci rivelano - nessuno può dire nulla, perché se qualcuno si azzarda a parlare Fathy li chiude dentro al residence e fa un casino".

"Beato chi ne esce vivo", aggiunge chi è passato da quello stabile. "Dovrebbe essere un centro per ospitare chi si trova in difficoltà ma in realtà è un lager", ci assicura un’altra persona. Non sappiamo cosa ci sia di così importante da proteggere all’interno del Caat di via Tineo. Ma sappiamo di certo che per un estraneo è difficile anche solo avvicinarsi. "Lascia perdere, lascia perdere", ci avvisa Shady Torkey, quando ci blocca davanti al cancello assieme agli addetti alla sicurezza. Il palazzo è protetto da sentinelle che sbucano dai tetti e che presidiano l’incrocio con via di Tor Tre Teste, mentre l'ingresso è guardato a vista da almeno quattro vigilantes. Alcuni sono marocchini, altri arrivano dall’Africa subsahariana. Indossano tutti il tesserino della security e scrutano con attenzione chi entra e chi esce, sbarrando il passo agli estranei. E per chi sgarra le conseguenze possono essere molto serie.

A dimostrarlo sono le denunce. Due quelle sporte contro Mohammed, uno dei figli di Fathy, attualmente recluso nel carcere di Rebibbia. La prima riguarda l’aggressione contro una sua ex compagna, assalita per gelosia proprio davanti al portone del Caat mentre era assieme a due minorenni. Mohammed l’ha scaraventata contro il muro e poi ha tirato fuori un coltello. A salvare la ragazza è stato un volontario della cooperativa che gestisce il portierato sociale assieme a suo fratello. Quest'ultimo, poi, ha dovuto vedersela con Mohammed e Shady, l'altro figlio di Fathy Torkey. Nessuno degli uomini della sicurezza ha mosso un dito, anche quando, lo scorso giugno, ad essere aggredita è stata l’ex convivente di Mohammed, con la quale l’uomo ha due figlie.

La donna è fuggita dall’appartamento di cui è assegnataria e per scampare alla furia dell’uomo ha chiesto aiuto a quattro vigili urbani che si trovavano di passaggio nei pressi dello stabile. Ma l’epilogo è tragico. Mohammed si scaglia anche contro gli agenti, che finiscono in ospedale. "Tra gli uomini della security nessuno ha mosso un dito". Il motivo? "Lui era il figlio di Fathy e poteva fare come meglio gli pareva", denunciano le nostre fonti. "Tutti i residence fanno schifo – proseguono - ma almeno negli altri non si è in pericolo di vita appena esci di casa". Insomma, invece di garantire l’incolumità dei residenti il clan di Fathy rappresenta una minaccia per gli inquilini.

"Il Comune, in tutti questi anni - ci dicono - non è mai intervenuto per risolvere davvero la situazione".

Commenti