Cronaca locale

Zingaretti affonda le comunità terapeutiche, decine di strutture a rischio chiusura

Il grido delle comunità terapeutiche del Lazio, "strozzate" da un decreto di Zingaretti: "Troppi oneri a carico nostro, così rischiamo di chiudere"

Zingaretti affonda le comunità terapeutiche, decine di strutture a rischio chiusura

Navigano in acque agitate le comunità terapeutiche del Lazio. Una costellazione di realtà no-profit su cui pende un decreto della Regione Lazio, che rischia di fare tabula rasa di quanto di buono è stato fatto in questi anni. Non a caso gli addetti ai lavori l’hanno ribattezzato “strozza comunità”.

Tra le realtà in bilico c’è anche la Comunità Mondo Nuovo onlus di Civitavecchia, in prima linea da quarant’anni per tirare fuori giovani e meno giovani dal tunnel delle dipendenze: principalmente eroina ma anche cannabinoidi, alcol e gioco d’azzardo. È il suo fondatore, Sandro Diottasi, a lanciare l’allarme: “La Regione Lazio si è messa in testa di farci assumere un quantitativo abnorme di persone, dicono che servirà a creare nuovi posti di lavoro, ma l’unico effetto sarà quello di farci chiudere, rafforzando il mercato della droga e dello spaccio”. Il provvedimento incriminato (DCA U00214 del 28 maggio 2015) riscrive i requisiti minimi richiesti alle strutture terapeutiche per continuare ad esistere. La stella polare è quella della nuove assunzioni ma, cosa assai bizzarra, l’aumento del personale prescinde dall’effettiva capacità ricettiva delle singole strutture.

Il numero di figure professionali da assumere (1 psicologo, 1 assistente sociale, 3 educatori professionali e 5 Oss), infatti, rimane invariato da uno a venticinque posti letto. Un onere insostenibile per le piccole comunità come la Mondo Nuovo, che gestisce quattro centri, di cui tre hanno una capienza che non supera gli otto posti. “Saremo costretti a chiuderli perché è impossibile per noi assecondare le richieste di Zingaretti”, dice amaramente Diottasi. Quello che si chiede alle comunità è una trasformazione radicale: da realtà volontaristiche a vere e proprie aziende sanitarie. “I requisiti richiesti dalla Regione Lazio sono i medesimi previsti per cliniche ed ospedali privati e non tengono conto della specificità di queste esperienze”, gli fa eco la deputata Maria Teresa Bellucci, responsabile nazionale del dipartimento dipendenze di Fratelli d’Italia. Per scongiurare l’effetto domino delle chiusure la Bellucci auspica “un ripensamento da parte del governatore” ma anche “l’immediato finanziamento del fondo nazionale per le politiche antidroga, fermo da quindici anni”.

“Le comunità non sono un servizio che si è inventato lo Stato, ma una risposta genuina del popolo ad un problema grave: la morte dei giovani per droga”, ci spiega Diottasi, che alla fine degli anni Settanta ha perso un cugino per overdose e da allora ha sentito l’esigenza di “portare avanti un messaggio di vita”. Diottasi parte da zero. Appena apre i battenti, la comunità, già riunisce attorno a sé una quarantina di ragazzi bisognosi di aiuto. Di tempo ne è passato tanto. Il vecchio rudere da dove tutto è cominciato, oggi, è una villa e la Mondo Nuovo “pian piano si è evoluta” aprendo altri tre centri. Quelli che ora rischiano di essere dismessi. “Quando chiudi – spiega Mario Andrea Diottasi, figlio del fondatore e coordinatore della comunità – la gente muore”. La piaga della dipendenza, infatti, continua ad affliggere la società.

“Nei primi anni – racconta il figlio del fondatore – arrivavano solamente eroinomani e cocainomani, oggi aiutiamo perlopiù ragazzi poli-assuntori”. Ultimamente il mostro da cui si cerca salvezza è l’accoppiata di cocaina o eroina e superalcolici. La polvere bianca resta tra le sostanze più diffuse, seguita dall’eroina con un ritorno in auge del buco, testimonia il figlio di Diottasi. “Ci capitano davvero situazioni di tutti i tipi – prosegue – dai giovanissimi distrutti dai cannabinoidi che dobbiamo mandare in strutture psichiatriche, ai cinquantenni devastati da anni di metadone”. Ma, anche fronte dei “pochi utenti inviati in comunità dal servizio sanitario regionale”, andare avanti è sempre più difficile.

E così, senza il supporto delle istituzioni, la “luce di speranza” rischia di spegnersi.

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