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Rosy Bindi, l'anti Ruby della sinistra moralista

Lerner esalta la vergine del Pd contro le lolite di Arcore, Vendola la candida premier dell’ammucchiata antiberlusconiana. Ai tempi della Dc brindò alla manette, oggi sfida Fini a chi odia più Silvio

Rosy Bindi, l'anti Ruby della sinistra moralista

Come contraltare alla conturbante Ruby delle notti berlusconiane, la sinistra ca­la l’asso dell’immacolata Ro­sy Bindi e la candida a Palaz­zo Chigi. L’opposizione sem­bra dire: il carnevale delle Ru­by è finito, comincia la quare­sima delle Rosy. Insomma, ci vuole appioppare un’espia­zione collettiva dopo averci fatto fare scorpacciate di ses­so con i guardoni delle procu­re e stampa affine. Rosy è la fiaccola che traccia il solco tra l’immoralismo di destra e la virtuosità di sinistra. Chi meglio di lei, tutta d’un pez­zo, chiesa e partito, inconta­minata per scelta? Primo ad avere l’intuizione della vergine di Sinalunga (Siena), è stato Gad Lerner.

Indignato da tempo, fino ad ammalarsene, per lo stile di vita del Cav, Lerner ha con­trapposto le lolite seminude di Arcore al tipo di donna che predilige: il genere Bindi. Lo ha fatto nella sua rubrica su Vanity Fair , rivista gla­mour in netto con­trasto con i pisto­lotti uggiosi che gli escono dalla pen­na. Zigzagando tra foto di callipige di cui Vanity tra­bocca, ha scritto: «I tempi sono ma­turi perché Bindi diventi la prima donna di governo dopo 150 anni di storia d’Italia». All’autorevole suggerimento ha fatto eco Nichi Vendola e la candi­datura ha preso l’Aire. Dal suo pri­vilegiato osserva­torio pugliese, Ni­chi ha detto che Rosy ha «il profilo giusto per guidare una rapida transizione verso la normalità».

È, cioè, l’esse­re ideale per un governo di «emergenza democratica», per annichilire il Berlusca, ap­provare una nuova legge elet­torale, regolare il conflitto d’interessi e riformare ilsiste­ma stampa e tv che, sempre guardando da Bari, è troppo tenero col Cav. Conclusa l’operazione, l’ammucchia­t­a si scioglie e la Bindi è conge­data: tanti saluti e grazie. Col massimo rispetto per Lerner e Vendola, non è detto che l’operazione riesca. Non tan­to perché al Be­rlusca non pas­sa per l’anticamera del cervel­lo di fare fagotto e Napolitano vuole decidere lui a chi dare l’incarico,ma soprattutto per­ché ha già battuto i piedini Giovanna Melandri.Rosa dal­l’invidia, la bella del Pd ha det­to no a Rosy. «La stimo molto - ha celiato - ma può essere la donna che federa un’allean­za da Vendola al Terzo Polo? Non credo».

E ha evitato per un pelo di aggiungere che la persona adatta era lei, solo per il timore che D’Alema- di cui Giovanna è una dipen­dente- potesse poi farle un li­scio e busso dell’accidente. Alle corte: la candidatura Bin­di è bruciata. Eppure, mettendomi nei panni della sinistra, Rosy è senz’altro la più adatta a gui­darla. Se però mi metto in quelli del cittadino, conside­rerei una iattura pari a un’in­vasione di cavallette la Bindi a capo del governo. È una donna con più carattere che cervello. Crede in quello che dice e lo fa. Sarebbe perciò un ottimo cane pastore per gli sbandati di sinistra. Ma da do­ve le vengano le idee è ignoto e sarebbe quindi un pericolo a Palazzo Chigi. Non è il tipo da prenderle da altri o con­frontarle con i collaboratori, che tratta col frustino in stile Moira Orfei. Le escono spes­so parole di odio e disprezzo con cui alluviona chi non le va a genio. Tra le vittime negli anni: il Msi, la destra dc, Cra­xi, il Cav, ecc.

Si può, dunque, ritenere che il suo organo più vivace sia la bile e concludere che lì si trovi la sede dei suoi ragionamenti. Rosy ha compiuto 60 anni giorni fa. Fin da piccola fu de­terminata, un po’ mascolina e senza smancerie. Frequen­tava gli scout e nei campeggi sentiva meno degli altri il bi­sogno dei ricambi, delle doc­ce, del letto di casa. Trascorse la giovinezza tra la parroc­chia, l’Azione cattolica e, do­po la tragica esperienza con Vittorio Bachelet (fu ucciso dalla Br davanti a lei), entrò in politica. Si iscrisse alla Dc e, nonostante il cuore battes­se a sinistra - tra il bresciano Martinazzoli e l’irpino De Mi­ta - il primo a darle una mano vera fu Andreotti. Si candidò con lui in Veneto per le Euro­pee dell’89, apparve appaia­ta in tutti i cartelloni e fu elet­ta. Quando poi Andreotti fu falsamente accusato per il ba­cio a Riina, Rosy lo mollò al suo destino con la solita ariet­ta di superiorità di quelli co­me lei, condita di «ben gli sta»,«se l’è cercata»e compa­gnia. Il Veneto è stato a lungo il suo collegio elettorale anche per la Camera dei deputati in cui entrò nel ’94. Ora è alla sua quinta legislatura. Tosca­na linguacciuta, Rosy era mol­to colorita sia nelle frequenti bisbocciate nelle taverne di campagna dove lei e gli amici bevevano come taniche, sia con gli avversari politici. Una volta insultò ma­lamente con st..za, p.tt..a e altro un’as­sessora socialista che non glielo perdonò per anni. Con «Mani pulite», Rosy fu felice come una pasqua. Go­deva per i dc che andavano in galera, teorizzando un parti­to ridotto alla metà di puri co­me lei.

Insieme a Martinazzo­li, fece di meglio: sciolse la Dc, creò il Partito popola­re e si ritrovarono con un terzo degli elettori. Di lì a poco, non ebbe­ro più nulla. Il Ppi naufragò e la de­mocristianità residua, con Bindi mosca cocchiera, si tra­sferì nell’Ulivo e divenne una cosa sola con gli ex comuni­sti. Rosy è una fan di Prodi. Ogni volta che è stato pre­mier, Romano l’ha ricompen­sata con la poltrona di mini­stro. Tra il ’96 e il 2000, Rosy è stata alla Sanità e ha fatto la riforma che l’ha statalizzata e resa un colabrodo. Nel 2006, per piazzarla, Prodi ha inven­tato il ministero della Fami­glia. Durante la sua prima esperienza ministeriale, Bin­di cambiò quattro capigabi­n­etto e cinque capi del legisla­tivo. Uno di loro si licenziò du­rante un Consiglio dei mini­stri. Era nella sala attigua, pronto a fornire suggerimen­ti. Di continuo, veniva un commesso con ordini della ministra di fare questo o quel­lo. Bagatelle da domestico. Per un po’ il tecnico pazien­tò, poi non ci vide più e conse­gnò al commesso due righe per il ministro: «Non sono il suo galoppino».

«Mi aspetto sempre un ceffone se non so­no d’accordo con lei », confes­sò il ds Luigi Berlinguer, mini­stro dell’Istruzione, e suo vici­n­o di sedia al Consiglio dei mi­nistri. Oggi, la vergine di Sinalun­ga è la vice di Fini alla Camera e vanno d’accordo in tutto sal­vo rivaleggiare su chi odia di più il Berlusca. La posta in gio­co è una gita a Montecarlo. Chi perde paga il viaggio.

Sog­giorno, in ogni caso, dal co­gnato.

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