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Rubygate, a sorpresa Fini tende la mano al Cav E' un caso o una svolta?

Inattesa apertura di Gianfry al Cav sul processo Ruby: martedì 5 aprile la Camera deciderà sul conflitto. Ma al Pd non piace proprio questo cambio di rotta: "Dittatura della maggioranza". Il processo comunque non si ferma: ecco perché

Rubygate, a sorpresa 
Fini tende la mano al Cav 
E' un caso o una svolta?

Roma - Parità. E la parola passa alla Camera. La votazione dell’Ufficio di presidenza sul conflitto di attribuzione è finito 9 a 9. La questione sul Rubygate sarà devoluta all’Aula che, in assenza di una maggioranza, è chiamata martedì 5 aprile a deliberare direttamente sulla richiesta avanzata da Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli. Già durante l’Ufficio di presidenza il presidente della Camera Gianfranco Fini aveva teso la mano a Silvio Berlusconi cambiando la propria strategia e chiedendo, qualunque fosse stato il risultato, di far decidere l'aula perché il conflitto sul caso Ruby è un unicum dal momento che nell'Ufficio di presidenza la maggioranza è in minoranza numerica.

Il voto finisce in pareggio E' finita con un pareggio, nove voti a favore e nove contrari, con Fini che non ha partecipato al voto. Come ha spiegato il pidiellino Maurizio Lupi, adesso, "c’è ancora di più l’obbligo che sia l’aula" ad esprimersi sul conflitto di attribuzione proposto dalla maggioranza . Si voterà, quindi, sulla proposta di conflitto avanzata dai tre capigruppo della maggioranza Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli. La votazione è finita nove a nove anche per l’assenza dell’esponente dell’Mpa Angelo Lombardo e la decisione del presidente della Camera di non prendervi parte.

La discussione in giunta Per Fini la vicenda del conflitto di attribuzione da parte della Camera sul caso Ruby "presenta aspetti speciali ed unici". Nella sua relazione Fini aveva detto che la composizione dell’Ufficio di presidenza vede di fatto la prevalenza numerica delle opposizioni rispetto alla maggioranza, il che costituisce un fatto di "assoluta novità" rispetto ai tre precedenti in materia che ha citato. Peraltro, aveva aggiunto Fini, in quei tre casi non erano state avanzate richieste di sottoporre la questione all’Aula. "Nella presente circostanza- aveva puntualizzato Fini - la decisione dell’Ufficio di presidenza in merito all’elevazione o meno del conflitto, a causa della composizione dell’organo, può sottrarsi al criterio della maggioranza politica quale risulta dal complessivo assetto dei rapporti tra i gruppi".

Il Pd va su tutte le furie Non è certo piaciuta l'apertura di Fini al premier. Non è piaciuta proprio al Pd che è subito andato su tutte le furie gridando alla dittatura. "E' evidente che noi apprezziamo la cautela e la prudenza del presidente Fini, ma riteniamo che avrebbe potuto esprimersi con un voto per evitare l’ennesimo vulnus alla dignità", ha sottolineato la presidente dell’assemblea nazionale Pd, Rosy Bindi per la quale "il conflitto non ha fondamento". "Il fatto - ha continuato l'esponente democratico - che venga sollevato in forza di un voto di maggioranza, dimostra che si stanno calpestando le regole per garantire l’impunità al premier".

E ciò unito a quello che sta accadendo sul processo breve fa si che "non ci sia nessuna difficoltà a dire che siamo un una dittatura della maggioranza".

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