Il rugby va in meta alluniversità Cattolica
17 Febbraio 2009 - 03:02Non cè solo il Sei Nazioni. Anzi. La fotografia del rugby milanese racconta che le sconquassate imprese dellItalia nel torneo più importante della pallaovale europea sono bilanciate e vendicate da una espansione senza precedente di questo rude sport, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi. Quello che fino a pochi anni fa era uno sport di nicchia, sta diventando quasi una disciplina di massa. Centinaia di bambini e adolescenti si avvicinano al rugby con la benedizione (e spesso lentusiasmo) di mamme e papà che hanno finalmente smesso di considerarlo uno sport brutale e incomprensibile.
Per Milano questa è la «Settimana Ovale», levento che accompagna le partite dellItalia nel Sei Nazioni. Ad organizzare insieme la Settimana sono lUniversità Cattolica e la 7, la rete televisiva che ha trasmesso per lItalia tutte le edizioni del Sei Nazioni e che dallanno prossimo sarà soppiantata dal network a pagamento Sky: un cambiamento cui la Federazione rugby guarda con preoccupazione, visto il ruolo decisivo che la trasmissione in chiaro del torneo ha avuto sullo sviluppo del movimento. Ma, a quei livelli, il rugby è business, e le montagne di euro messe sul tavolo dalla televisione di Murdoch per acquisire i diritti hanno sbaragliato ogni concorrenza.
Proprio di questo - cioè del difficile rapporto tra affari, media, valori rugbistici ed etica sportiva - si parlerà oggi pomeriggio alle 15,30 alla Cattolica, nella cripta dellAula Magna, nellincontro-clou (per la parte parlata) della Settimana Ovale. «Oltre la meta: il rugby in Italia tra racconto mediale, identità e valori sportivi», con giornalisti, editori, esperti di comunicazione e marketing che cercheranno di spiegare come il «prodotto rugby» abbia fatto irruzione nel mondo dellimmagine, e quali siano le sue potenzialità ancora inespresse. E il piatto forte del pomeriggio saranno gli interventi in video di Marco Paolini, lattore veneto che - senza avere mai giocato a rugby in vita sua - è riuscito ad assimilarne e trasmetterne i valori come mai prima era riuscito a tanti esperti e studiosi della materia.
Il problema del rugby, in fondo, è semplice: è uno sport affascinante nei suoi aspetti «estremi», ma che può essere profondamente noioso nella sua quotidianità. Una partita del 6 Nazioni o della Coppa del Mondo è uno spettacolo avvincente anche per un profano e, allopposto, un torneo di minirugby con trecento marmocchi che sgambettano e placcano in amicizia può commuovere anche il cuore più duro. Ma una partita della serie A italiana (per non parlare della B o della C) rischia di essere la peggiore propaganda che si possa immaginare per questo sport. In campo si divertono come matti, ma sugli spalti - spesso e volentieri - si sbadiglia.
Così cosa voglia dire davvero «comunicare rugby» è un tema su cui si dovrebbe ragionare a lungo. Senza fare però, alla fine, le cose più complicate di quel che sono: perché, come diceva un tale, «se non vi va di prendere pugni potete sempre giocare a pingpong».