Russia e Brasile migliorano ma l'ultima parola al gestore

I listini azionari dei Paesi in via di sviluppo possono proseguire il trend ok iniziato nel 2016. Il traino India

Ennio Montagnani

Le Borse dei mercati emergenti hanno registrato performance nettamente migliori rispetto a quelle dei Paesi più industrializzati da inizio anno. In base all'indice MSCI EM (che misura l'andamento dei listini azionari dei principali Paesi in via di sviluppo) il rialzo nei primi otto mesi di quest'anno si è attestato al 13,1% contro il 3,9% dell'MSCI world (che riflette invece l'andamento medio delle Borse occidentali). Secondo Craig Botham, Emerging Markets Economist di Schroders, le prospettive economiche dei Paesi in via di sviluppo si mantengono positive e fanno quindi ben sperare che questo trend possa persistere. Per l'economista, la crescita dei mercati emergenti, nel suo complesso, si appresta a migliorare andando verso il 2017, nonostante il rallentamento della Cina. Il merito va in gran parte all'India, che procede ormai da anni con un impressionante ritmo rialzista, grazie alla ripresa della crescita del credito, da un lato, e all'incentivo agli investimenti fornito dallo slancio riformista, dall'altro. Ma solidi supporti dovrebbero arrivare anche dall'archiviazione della recessione in Russia e Brasile.

In Brasile, in particolare, gli ultimi dati macroeconomici (quelli sulla produzione industriale e le vendite al dettaglio hanno interrotto i trend di rallentamento) indicano che il Paese dovrebbe aver lasciato alle spalle la recessione mentre, per quanto riguarda la Russia, le previsioni sono per una ripresa graduale. «Ci aspettiamo una crescita positiva su base annuale entro il quarto trimestre e una performance complessiva positiva, anche se tenue, per il 2017. Il peggio legato al calo dei prezzi del petrolio è passato, ma l'economia russa deve risolvere alcuni squilibri strutturali se vuole tornare a crescere in un mondo dove il petrolio costa meno», fa sapere Botham, il quale, relativamente alla Cina (il Pil nel secondo trimestre è rimasto inviato al 6,7% su base annua), ritiene che gli stimoli delle autorità di Pechino abbiano sostenuto la crescita con successo.

«Tuttavia, gli investimenti immobiliari cinesi hanno rallentato parecchio in giugno e sono diminuiti ulteriormente in luglio. In generale, gli investimenti si sono indeboliti notevolmente. Riteniamo, però, che un atterraggio brusco sia improbabile nei prossimi 6 mesi, mentre tendiamo a essere meno positivi in un orizzonte di tre anni», puntualizza Botham. Che ci siano ottime opportunità in Cina, ma sul lungo periodo, ne è convinto Tian Rencan, ceo, Asset Management UBP China di Union Bancaire Privée (UBP). «Ci aspettiamo che il mercato azionario cinese sia volatile nel breve periodo e, con ogni probabilità, saranno le storie tematiche a dominare i principali movimenti di mercato», dice Rencan, il quale, nel medio termine, insieme al possibile rialzo dei tassi da parte della Fed e alla svalutazione del renminbi, tende a essere più cauto in vista di potenziali rischi e problemi di liquidità. «Per quanto riguarda quest'ultima, con la missione di completare le riforme dal lato dell'offerta nel prossimo futuro, il governo cinese difficilmente metterà in campo una serie di stimoli fiscali o monetari, ma manterrà la liquidità a un livello moderato attraverso operazioni di mercato aperto», spiega Rencan. L'esperto, nel lungo periodo, ritiene che l'azionario cinese sia sottovalutato e che presenti vantaggi rispetto alle altre asset class finanziarie.

In tutti i casi, per investire in Cina e, più in generale nei mercati emergenti, è raccomandabile affidarsi a un bravo gestore attivo: un gestore, cioè, in grado di conoscere nei dettagli i singoli mercati per selezionare accuratamente le aziende sulle quali investire. Secondo Prashant Khemka, di Goldman Sachs Asset Management (GSAM), è infatti evidente come i gestori attivi dei mercati emergenti abbiano generato, in media, un alpha (extra-rendimento rispetto alla media di mercato, ndr) significativamente maggiore rispetto ai loro colleghi dei mercati sviluppati.

Il motivo è chiaro: i mercati emergenti rimangono un'asset class piuttosto inefficiente e la maggior parte dei benchmark ponderati per la capitalizzazione di mercato è strutturalmente distorta da grandi società di proprietà statale (poco efficienti e, spesso, fatiscenti).

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