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Rutelli cede a Parisi: la Margherita si scioglierà
Al congresso saranno stabiliti i tempi. E Fassino dovrà convincere la Quercia, che è spaccata, a fare lo stesso
Al congresso saranno stabiliti i tempi. E Fassino dovrà convincere la Quercia, che è spaccata, a fare lo stesso
da Roma
Ancora una volta lo spettro di una scissione dei parisiani dalla Margherita rutellian-demitiana. Proprio alla vigilia del progetto unitario del Partito democratico. Ma alla fine la mediazione ha vinto e la mozione congressuale, ora unitaria, dei Dl ammette chiaramente che si va allo scioglimento del partito. La Margherita chiude, altro che i patti federativi immaginati da Fassino. Uno schiaffo alla richiesta di tempo, venuta dallultima direzione della Quercia.
Unidea, quella di mettere in braghe di tela il segretario della Quercia, che pare aver avuto il suo peso, nellintricata trattativa tra rutelliani, parisiani e franceschin-demitiani (ovvero larea ex Ppi). Buttare il sasso nello stagno, e stare a vedere l«effetto che fa» nel campo ds, dove i «resistenti» e gli arrabbiati ormai puntano persino al 40 per cento e passa del partito. «La loro scelta non ci è arrivata inattesa - dicono nel quartier generale della Quercia -, ma noi quello che dovevamo fare labbiamo fatto e la nostra agenda la stabiliamo noi, non ce la facciamo dettare da nessuno. Siamo un partito di 600mila iscritti, la cui iscrizione è rigidamente documentata, e di oltre 6 milioni di elettori... Mica possiamo scioglierci dalloggi al domani, noi».
«Dalloggi al domani neppure noi», frena il coordinatore dl Antonello Soro, gran mediatore. «Abbiamo inserito soltanto che la Margherita si scioglierà il giorno in cui nascerà il Pd, non il giorno del congresso...», spiega. La distinzione potrà avere un senso compiuto soltanto quando chi vivrà vedrà. In politica, ricorda Soro, «di definitivo non cè mai nulla». Il passettino in avanti comunque cè stato, «e adesso il linguaggio della mozione è meno equivoco», ammette. «La Margherita assume la formale decisione - è scritto nel penultimo comma -: allatto di nascita del Pd verrà conclusa lautonoma attività politica della Margherita e sarà conferito agli organi dirigenti il mandato di definire le procedure, le garanzie nella transizione tra i soggetti promotori e con tutte le forze partecipanti...». Non è stato facile ottenere la cessazione delle attività, che sta come a dire: non si torna più indietro. Lunico mezzo per farlo potrebbe essere soltanto un clamoroso dietro-front della Quercia (la sconfitta di Fassino al congresso, o la fine del governo Prodi).
Negli ultimi incontri Parisi aveva posto laut aut a Rutelli. Sospinto dalla componente più ulivista (dalla iperprodiana Magistrelli al coriaceo Bordon, dallanti-corrotti Manzione al sottosegretario Lettieri), il professore era pronto a ritirare la mozione congressuale in segno di protesta. A questo punto, però, Rutelli ha preso il toro per le corna. E convinto larea ex ppi, De Mita in testa, che fare la bella figura con Prodi, creando un problema grande quanto una casa a Fassino, non costava nulla. Anzi, potrebbe essere il modo per provocare una corposa scissione a sinistra della Quercia, che rafforzerebbe non poco le quotazioni dei centristi allinterno del Pd.
Gli ulivisti di Parisi, naturalmente, auspicano anche di veder realizzato anche il loro sogno: ridurre il potere degli apparati. Ma qui entreranno in ballo ancora più pesantemente le tante battaglie precongressuali in periferia, dove si cercherà di «vigilare», ma non è mai abbastanza. «È vero che riuscire a portare il grosso del suo partito nel Pd ora sarà un po meno facile, per Fassino... Però mica è stato facile per noi portare De Mita nel Pd...», dice Marina Magistrelli. Che guarda il bicchiere mezzo pieno, e il «bel segnale, anche ai Ds». Si decide «ora per allora, senza altri passaggi congressuali», fa notare con gioia Franco Monaco, autore con Soro delle integrazioni al testo. «Non ci sono tutte le nostre parole, ma gran parte, se non tutte, le parole in essa contenute sono nostre...», dichiara invece sibillino Parisi. Il successo non è pieno, ma «la cultura disponibile come riferimento comune non ci consente di più».
Ancora una volta lo spettro di una scissione dei parisiani dalla Margherita rutellian-demitiana. Proprio alla vigilia del progetto unitario del Partito democratico. Ma alla fine la mediazione ha vinto e la mozione congressuale, ora unitaria, dei Dl ammette chiaramente che si va allo scioglimento del partito. La Margherita chiude, altro che i patti federativi immaginati da Fassino. Uno schiaffo alla richiesta di tempo, venuta dallultima direzione della Quercia.
Unidea, quella di mettere in braghe di tela il segretario della Quercia, che pare aver avuto il suo peso, nellintricata trattativa tra rutelliani, parisiani e franceschin-demitiani (ovvero larea ex Ppi). Buttare il sasso nello stagno, e stare a vedere l«effetto che fa» nel campo ds, dove i «resistenti» e gli arrabbiati ormai puntano persino al 40 per cento e passa del partito. «La loro scelta non ci è arrivata inattesa - dicono nel quartier generale della Quercia -, ma noi quello che dovevamo fare labbiamo fatto e la nostra agenda la stabiliamo noi, non ce la facciamo dettare da nessuno. Siamo un partito di 600mila iscritti, la cui iscrizione è rigidamente documentata, e di oltre 6 milioni di elettori... Mica possiamo scioglierci dalloggi al domani, noi».
«Dalloggi al domani neppure noi», frena il coordinatore dl Antonello Soro, gran mediatore. «Abbiamo inserito soltanto che la Margherita si scioglierà il giorno in cui nascerà il Pd, non il giorno del congresso...», spiega. La distinzione potrà avere un senso compiuto soltanto quando chi vivrà vedrà. In politica, ricorda Soro, «di definitivo non cè mai nulla». Il passettino in avanti comunque cè stato, «e adesso il linguaggio della mozione è meno equivoco», ammette. «La Margherita assume la formale decisione - è scritto nel penultimo comma -: allatto di nascita del Pd verrà conclusa lautonoma attività politica della Margherita e sarà conferito agli organi dirigenti il mandato di definire le procedure, le garanzie nella transizione tra i soggetti promotori e con tutte le forze partecipanti...». Non è stato facile ottenere la cessazione delle attività, che sta come a dire: non si torna più indietro. Lunico mezzo per farlo potrebbe essere soltanto un clamoroso dietro-front della Quercia (la sconfitta di Fassino al congresso, o la fine del governo Prodi).
Negli ultimi incontri Parisi aveva posto laut aut a Rutelli. Sospinto dalla componente più ulivista (dalla iperprodiana Magistrelli al coriaceo Bordon, dallanti-corrotti Manzione al sottosegretario Lettieri), il professore era pronto a ritirare la mozione congressuale in segno di protesta. A questo punto, però, Rutelli ha preso il toro per le corna. E convinto larea ex ppi, De Mita in testa, che fare la bella figura con Prodi, creando un problema grande quanto una casa a Fassino, non costava nulla. Anzi, potrebbe essere il modo per provocare una corposa scissione a sinistra della Quercia, che rafforzerebbe non poco le quotazioni dei centristi allinterno del Pd.
Gli ulivisti di Parisi, naturalmente, auspicano anche di veder realizzato anche il loro sogno: ridurre il potere degli apparati. Ma qui entreranno in ballo ancora più pesantemente le tante battaglie precongressuali in periferia, dove si cercherà di «vigilare», ma non è mai abbastanza. «È vero che riuscire a portare il grosso del suo partito nel Pd ora sarà un po meno facile, per Fassino... Però mica è stato facile per noi portare De Mita nel Pd...», dice Marina Magistrelli. Che guarda il bicchiere mezzo pieno, e il «bel segnale, anche ai Ds». Si decide «ora per allora, senza altri passaggi congressuali», fa notare con gioia Franco Monaco, autore con Soro delle integrazioni al testo. «Non ci sono tutte le nostre parole, ma gran parte, se non tutte, le parole in essa contenute sono nostre...», dichiara invece sibillino Parisi. Il successo non è pieno, ma «la cultura disponibile come riferimento comune non ci consente di più».
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