Roma

Sanità, puntare a prestazioni di qualità

Il sistema sanitario nazionale è sempre più prigioniero dei vincoli di bilancio. Regioni virtuose, altre sotto esame dei Piani di rientro ma tutte, o quasi, caratterizzate da un valore comune: la qualità della nostra offerta sanitaria rimane elevata in buona parte della penisola. Il Lazio è alle prese con un difficile Piano di riorganizzazione dell’intero sistema socio-assistenziale, voluto con forza dalla presidente Polverini che di qui ai prossimi due-tre anni dovrà ridisegnare la sanità della nostra Regione. Timori, attese e sacrifici all'orizzonte, ne parliamo con Cesare Cursi, responsabile nazionale Consulta salute e affari sociali del Pdl e presidente della commissione Industria, commercio e turismo del Senato.
La sanità laziale potrà puntare verso l’eccellenza o sarà condizionata ancora per anni dai disavanzi di bilancio?
«Non ho alcun dubbio, il Lazio al pari delle Regioni “virtuose” del centro-nord, può e deve puntare all’eccellenza delle proprie prestazioni. Abbiamo d’altra parte continui esempi, da ultimo il brillante intervento presso il dipartimento di Cardiologia dell’azienda San Filippo Neri di qualche giorno fa, che pongono la qualità del nostro servizio sanitario ai vertici nazionali».
Ma il problema sembra sempre lo stesso. Tagli, sacrifici, tetti, tutto in funzione del rispetto dei conti.
«Gli indicatori di qualità e di spesa a disposizione evidenziano con chiarezza che a miglior livello di servizio offerto corrisponde sempre una gestione virtuosa delle risorse a disposizione. Al contrario, le Regioni che registrano i peggiori livelli di qualità, vedi Calabria e Sicilia, spendono rispettivamente il 10,09% e il 10,23 % del loro Pil a confronto di Lombardia e Veneto che spendono rispettivamente il 5,06% e 5,7% del Pil regionale registrando risultati di assoluta eccellenza».
Quindi le risorse ci sono, è che vengono spese male?
«La prova dei fatti dimostra che una corretta gestione delle risorse finanziarie a disposizione, consente il totale finanziamento del nostro sistema socio-assistenziale, e che troppo spesso le continue richieste di risorse da parte delle Regioni nascondono nient’altro che problemi di altro tipo, legati cioè a modelli assistenziali ormai superati».
Quale sarà quindi il ruolo del Lazio in questa difficile partita?
«Senza dubbio da protagonista. Al di là dei debiti pregressi, davvero ingenti che in qualche modo andranno ripianati, la vera scommessa sarà puntare sull’eccellenza del sistema che comporterà inevitabilmente diminuzione dei costi e attrazione di turismo sanitario. Il nuovo Patto per la Salute, voluto dal ministro Fazio, va proprio in questo senso: efficientamento, contenimento degli sprechi, controllo sulle prestazioni».
Sarà in grado il nostro sistema riformato di competere a breve con quelli ben collaudati del nord del Paese?
«Il concetto di “best practice”, posto alla base del nuovo tariffario nazionale, deve essere un obiettivo possibile anche per noi. Se, a parità di condizioni, una Regione “virtuosa” riesce in una specifica prestazione a spendere una determinata cifra, verificato il livello di qualità della stessa, tale importo deve per forza essere preso a base di riferimento anche per le altre Regioni, Lazio in testa. Questo risultato sarà indipendente dalla situazione pregressa. Dipenderà solo dal nostro modo di intendere una nuova sanità laziale, moderna ed efficiente».
Anche un buon sistema basato sulla prevenzione può garantire riduzione dei costi?
«Non solo. Da Roma in giù questa pratica sembra essere dimenticata. Secondo il ministero della salute è pari al 39,4% la quota di donne sopra i 40 anni residenti nel Mezzogiorno e nelle isole che hanno svolto almeno una volta uno screening oncologico al seno, contro il 53,3% della media nazionale e, soprattutto, il 68,5 registrato nel Nord-Est. Mi preme ricordare che prevenzione non significa solo risparmio di risorse ma anche, e soprattutto, migliore condizione della qualità della vita dei cittadini.

Un moderno sistema sanitario non può prescindere da questo».

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