Cultura e Spettacoli

Santayana, la filosofia della libertà è un romanzo

«L’ultimo puritano» espone in forma narrativa il pensiero dell’autore spagnolo, teorico del «realismo critico»

Santayana, la filosofia della libertà è un romanzo

Si è soliti distinguere nella vastissima produzione letteraria, poetica e filosofica di George Santayana un primo periodo, detto americano, e un secondo, definito europeo. Proprio a quest’ultimo appartiene l’opera L’ultimo puritano, del 1935, ora proposta da Baldini Castoldi Dalai editore (pagg. 644, euro 18), nella traduzione di Camillo Pellizzi operata sull’edizione critica pubblicata nel 1994 da The Mit Press di Cambridge nel Massachusetts.
Santayana nacque a Madrid nel 1863 e morì a Roma nel 1952. Trasferitosi a Boston nel 1863, studiò alla Harvard University sotto la guida di due grandi maestri come Josiah Royce e William James. Trascorse alcuni periodi di perfezionamento in Germania e in Inghilterra, precisamente a Cambridge, ove chiarì le grandi linee ispiratrici del proprio pensiero, guardando da una parte a Platone e Aristotele e dall’altra ai filosofi indiani. Anche Schopenhauer e Spinoza rappresentarono per lui due importanti punti di riferimento. Tornato negli Stati Uniti, insegnò ad Harvard fino al 1912, quando decise di tornare in Europa, ove trascorse il resto della sua lunga vita in modo schivo e solitario, ma non per questo meno attivo.
Ha scritto Piero Gelli: «È difficile trovare una figura più limpidamente isolata, più coerentemente estranea alle ambizioni del suo tempo di George Santayana \. Del controverso periodo nel quale visse avversò ogni forma di conoscenza, dal marxismo alla psicanalisi, e ogni aspetto del potere, dal comunismo al capitalismo, con rigore, con pacatezza e ironia, rifiutando cattedre e incarichi, fino a lasciare Harvard, gli Stati Uniti e infine anche l’Europa, serenamente straniero ovunque, per concludere l’esistenza in un convento romano, presso le suore del Celio». Lì spesso andava a trovarlo Emilio Cecchi che lo stimava e l’ammirava.
L’ultimo puritano, pubblicato da Santayana a settantasei anni, è un romanzo che espone in forma narrativa il pensiero articolato e robusto del filosofo madrileno, che gli specialisti sono soliti porre sotto l’etichetta di «realismo critico»: in esso si trovano interessi teoretici e bisogni spirituali ed esistenziali spontaneamente rivolti verso l’arte e la religione e armonizzati da una prospettiva che guarda con critico sospetto tutte quelle concezioni che tendono a limitare la libertà dell’individuo. Santayana studiò il mondo della ragione e quello dell’azione e si addentrò pure nelle questioni della conoscenza e in quelle attinenti la vita dello spirito. Per quanto concerne la dimensione religiosa, Santayana ammirò profondamente la figura di Cristo, ma non volle appartenere alla Chiesa: emblematica a questo proposito fu la sua scelta di essere seppellito «ai limiti» della terra consacrata di un cimitero cattolico.
Protagonisti de L’ultimo puritano sono due fratelli, Nathaniel e il più giovane Peter, assetato di ribellione e di libertà; sarà però soltanto il figlio di questi, Oliver, aiutato dal cugino Nario, a liberarsi dalle convenzioni e dal conformismo che soffocano la società e i costumi del tempo.

Scritto con un linguaggio terso e vigoroso, il libro, che reca il sottotitolo «Una memoria biografica, in forma di romanzo», si presenta come un potente affresco di un’intera epoca e come un riuscito esempio di sottile analisi psicologica e speculativa, in grado di parlare al cuore e alla mente anche delle nuove generazioni.

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