Cultura e Spettacoli

Il Santuario di Bel dove si incontravano Oriente e Occidente

Era, sull'Acropoli, il punto capitale della città

Il tempio di Bel (Palmira)
Il tempio di Bel (Palmira)

Il Tempio di Bel era, sull'Acropoli, il punto capitale della città. Un ampio peribolo a doppio ordine di colonne lo circondava. Questo peribolo per un caso assai raro (serviva da fortezza agli arabi) è per buona parte intatto, e con le sue lesene corinzie che lo ritmavano all'esterno, incredibilmente, quello a cui fa pensare è alle pilastrate di Michelangelo sul Campidoglio. Così alte come sono, così nobilmente scandite, sull'alto zoccolo che dall'esterno stacca l'Acropoli dal resto pianeggiante della città. All'interno, l'incredibile disordine in cui si trova, con tutti quei rocchi di colonne e le pietre alla rinfusa, spenge un po' l'entusiasmo: ma la grandiosità delle proporzioni e dell'impianto, il cospicuo numero delle colonne ancora in piedi finisce per imporsi. Al Tempio, che ha la cella completa e una buona parte del colonnato, si accedeva per una scala: l'ingresso del Tempio è sul lato e asimmetrico, ma certamente per ragioni rituali. Di qua e di là dall'altissima porta ci sono ancora vari frammenti del fregio, scolpito dalle due parti. E queste finalmente sono sculture non mortuarie, non in serie, ma fatte una volta per sempre. Da esse ebbi il bandolo della matassa. Si trovarono a Palmira due culture figurative diverse, che non potevano integrarsi senza neutralizzarsi l'una con l'altra: la tradizione partica, assai più collegata alla cultura achemenide che a quella greca, la tradizione imperiale romana. Il gusto del bassorilievo schiacciato, modulato quasi impercettibilmente in superficie, non era né greco né romano: il gusto delle pieghe scavate in profondità, per dare uno spessore alla modulazione plastica delle forme, era stato greco e si trasmise a Roma. Questa modulazione a contatto delle stiacciature iraniche fu ancestralmente riportata quanto più possibile al valore di linea che, sottile come una cicatrice, operava la sutura fra le varie zone ondulate o piatte del rilievo.

Scaturì, presso i palmireni, quello smusso a spigolo vivo che non fa solco ma gradino e che si affida non all'ombra, come l'incavo greco-romano, ma alla luce che rimanda di taglio: donde l'estrema chiarezza, l'innegabile solarità della scultura palmirena.

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