Con la sartoria Neglia si chiude anche un capitolo di storia

In corso Venezia 2, oggi Neglia non alza più le saracinesche. Presto esse s'alzeranno di nuovo, ma sotto le insegne di Vuitton, che ha affittato quei locali, circa mille metri quadrati, per il 2011. E questo non sarà solo un altro anno: sarà un altro passo nella perdita d'identità (non solo commerciale) del centro cittadino.
Tutto è accaduto con una discrezione, oltre che con una malinconia, contrastanti coi colori squillanti dei manifesti, che dallo scorso novembre annunciavano «liquidazione totale». Era l'unico strepito: mentre gli sconti davano uno stimolo ulteriore ai clienti, i commessi sono stati garbatamente al gioco. I tre dipendenti fissi passeranno all'altro negozio di Neglia, in via Enrico Noe 23, al quale è annessa, da due anni, una sartoria.
Proprio in corso Venezia (ma al n. 8), nel 1961 - centenario dell'unità nazionale - Vincenzo Neglia aveva aperto il suo primo negozio. Lo chiude oggi, a causa dei malori che hanno colpito prima lui, poi la moglie. E ciò coincide coi centocinquanta anni dell'unità nazionale.
Il dettaglio è casuale ma significativo, perché la storia dei Neglia unisce Milano a Petralia Sottana, nelle Madonie. Della provincia di Palermo, infatti, era originaria la famiglia. «Mio padre Giuseppe - dice Vincenzo - s'era fatto un nome come sarto, quando ancora quasi tutti cucivano gli abiti a casa propria. Solo i ricchi potevano permettersi il sarto. Nel 1935 fondò anche una rivista, La tagliatrice moderna».
Trasferitosi a Milano, Giuseppe Neglia lega il suo nome a una sartoria in via Plinio 42. Era il 1941, e Vincenzo, che aveva un anno, era rimasto in Sicilia coi nonni. Nel 1947 si trasferì anche lui a Milano, abitando con la madre in via Spinoza. Nel 1960 apriva il suo primo negozio in via Enrico Noe 1, di fronte al bar Basso, del cui titolare divenne amico: «Era la zona - mi spiega Vincenzo Neglia - dello stabilimento della Bianchi. Alla sua demolizione, sorsero palazzi di signori. Furono loro i primi clienti. Sono stato fortunato: avevo le capacità per commercializzare il lavoro degli avi».
Lo stile è l'uomo. Quello di Vincenzo Neglia è in questo aneddoto: «Ho sempre desiderato una Jaguar. Non l'ho comprata nemmeno quando avrei potuto, perché era un'auto che pareva dire: “Guardatemi“. Vale lo stesso per l'orologio. Al polso ho ancora quello d'oro ereditato dallo zio…».
«Ho avuto un certo tipo di famiglia e di cultura - prosegue Vincenzo Neglia - per il quale il lavoro viene prima di tutto. Gli altri valori per i quali mi sono dato da fare sono la tomba, la cascina, la terra. A trentatré anni avevo anche una fabbrica di pantaloni; a trentacinque, fra Bergamo e Lovere, ho comprato una cascina, cominciando a fare vini col metodo champenois, taglio bordolese, dopo aver frequentato la scuola di enotecnica. Ora produco cabernet, sauvignon, merlot invecchiati in barile».
Signor Neglia, il centro cittadino è ora un esclusivista dietro l'altro.

E lei…
«… E io, per quasi mezzo secolo, sono stato - da solo - l' esclusivista delle cose più belle al mondo».

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