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Scala, le invenzioni di Kentridge rendono davvero magico il "Flauto" mozartiano

L'artista sudafricano mette in scena l'ultima opera del compositore salisburghese, con raro equilibrio tra favola e racconto iniziatico. In scena si alternano le buffonerie di Papageno e le simbologie massoniche. Una riuscita a cui contribuisce in maniera determinante una compagnia di canto pressoché perfetta

Scala, le invenzioni di Kentridge rendono davvero magico il "Flauto" mozartiano

Quando la Regina della notte attacca il «Der Hölle Rache», una delle arie più celebri del «Flauto Magico», e forse dell'intero repertorio mozartiano, il cielo dietro di lei esplode. Le stelle si muovono in avanti come stessero per inghiottirla, in un tripudio di meteore e comete che attraversano il firmamento. In una perfetta fusione di suoni e luci, che avrebbe entusiasmato lo stesso Mozart. Merito della voce cristallina di Albina Shagimuratova. Ma anche del regista William Kentridge che, con una lettura del testo pressoché perfetta, ha dato vita a una delle più belle mise-en-scène viste negli ultimi anni alla Scala.
Vediamo così in un rigoroso bianco e nero, Tamino, incaricato dalla Regina della Notte di liberare sua figlia Pamina rapita da Sarastro, partire con l'improvvisato scudiero Papageno. Ben presto scopre come la giovane sia stata vittima di un sequestro, ma solo sottratta alla malefica influenza della madre. Conquistato da Sarastro, sale i gradini della conoscenza diventando un illuminato e avendo come premio Pamina. Pappageno non ce la fa ma viene ugualmente premiato con Papagena, mentre la Regina della Notte sarà inghiottita dalla terra nel suo ultimo disperato assalto al castello di Sarastro.
Tutto ricreato perfettamente da Kentridge, sudafricano di 56 anni, arrivato alla regia dopo essere passato attraverso la pittura e la scenografia, mettendo al centro della sua arte il disegno, in genere col carboncino. E dal disegno nascono le animazioni, i quadri, i filmati della sua regia scaligera, molto precisa filologicamente. La scena è ambientata in un Egitto, per tradizione culla dell'esoterismo, fermato alla fine dell'Ottocento. Qui fa irruzione Tamino, vestito da esploratore: fucile ad armacollo, stivali, sahariana e casco coloniale. E in effetti nell'opera mozartiana cos'altro è la ricerca massonica se non una «esplorazione». Perché l'artista sudafricano non ha trascurato un solo segno massonico dalla pietra da sbozzare alle scale (della conoscenza) da salire, dalle squadre alle livelle fino agli «occhi veggenti». La «libera muratoria» infatti nasce dalla corporazioni di costruttori di templi e cattedrali che circuitavano esclusivamente al proprio interno le loro formule e i loro calcoli. Kentridge partendo dalla sua passione per le arti visive, fonde e mischia le geometrie ottiche con quelle edili, tagliando la scena da destra a sinistra, dall'alto in baso con angoli visivi così uguali a triangoli esoterici. Ponendo al centro del proscenio un macchina fotografica d'epoca montata su trepiede, di volta in volta come cannone, binocolo o proiettore.
Ma la vera delizia per gli occhi sono i giochi di luce che cambiano continuamente la scena, cieli stellati alternati a notti buie, templi e prigioni, fuochi ardenti e cascate d'acqua. Accompagnano poi la narrazione la proiezione di ombre cinesi che illustrano la danza di un rinoceronte sulle note del Flauto oppure il primo incontro-scontro tra Papageno e Monostato, o la coppa di vino vuotata nella gola dell'uccellatore.
Una festa per gli occhi. Ma anche per le orecchie, perché la compagnia di canto di questo Flauto è davvero superba a cominciare dai gorgheggi della Regina della Notte di Albina Shagimuratova, per proseguire con le note incredibilmente basse del Sarastro Günther Groissböck, lo squillante Tamino di Steve Davislim, la struggente e dolce Pamina di Genia Kühmeier, l'irresistibile e comicissimo Papageno di Alex Esposito, unico italiano del gruppo.

Un cast che tornerà ancora (a parte Tamino) il 30 marzo e il 1° e 3 aprile.

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