Politica

Lo scandalismo dei faziosi

Nessuno scandalo quando Colombo, cocainomane e senatore a vita, salvò il governo Prodi. Il presidente Usa se la cavò grazie al vuoto mentale dei suoi oppositori: i cittadini sanno capire

Dante Alighieri, che vide l’Italia «di dolore ostello» oltre che, anche per favorire la rima, «bordello», non avrebbe immaginato che in tanti si sarebbero affannati a confermare la seconda definizione. Incapaci di vivere e comprendere la prima. Provo a ragionare d’etica pubblica, quindi, prima che il nostro Paese si confermi, agli occhi del mondo, quale landa del meretricio.

I comportamenti privati hanno rilievo pubblico, quando ne è protagonista chi chiede il consenso degli elettori, candidandosi a governare tutti i cittadini. La follia, che finge d’essere parrocchiale ed è solo falsità ipocrita, consiste, però, nel volere ridurre tutto a quel che accade in brachette. Per capirsi, e non girarci attorno: siamo stati governati da un presidente del Consiglio, più volte ministro (dell’Economia e degli Esteri), che è un cocainomane. Non solo, mandava gli uomini della sua scorta a comprargli la droga, e con il suo voto determinante ha tenuto in piedi il governo Prodi. Emilio Colombo, tanto per non fare nomi. Ebbene, devo essermi distratto, ma m’è sfuggita la campagna per indurlo a sparire dalla circolazione. Con questo non intendo affatto dire che se ci sono colpe più gravi spariscono quelle minori, ma intendo mettere in evidenza la faziosa moralità senza etica di numerosi spudorati.

Torniamo ai comportamenti privati, dunque. Non dimenticando, nell’avvicinarsi del 150° anniversario, che l’Italia fu unita da uomini che non ritenevano di dover rendere conto, a nessuno, di quel che facevano in privato. Non lo pensava Cavour, invaghito della ballerina magiara, che favorì economicamente, non mancando di agevolare il di lei marito, in modo da tenerla a portata di mano. Non lo pensava Mazzini, che con il malinconico volto dell’esule in Patria squagliava il cuore di molte fanciulle, rammentando anche di aprir loro il portafogli, per finanziare le riviste risorgimentali. Né Garibaldi si sognò di spiegare a qualcuno perché s’era portato dietro, dal Sud America, una donna sposata, con un altro. Era piuttosto evidente.
Esempi, questi, calzanti, ma anche fuorvianti, perché allora non si era in democrazia. In democrazia il potere non si eredita per sangue e non lo si prende spargendo sangue. È il popolo che sceglie, eleggendo i migliori. Non sempre indovina, talora prende epici sfondoni, ma anche questo fa parte del gioco democratico.
Nel selezionare i migliori anche la loro condotta privata conta. Chi tradisce il coniuge, ad esempio, è meno affidabile. Ma non per ragioni moralistiche, bensì perché, potendo scegliere, meglio chi sa tener fede alle promesse che fa.

Negli Stati Uniti non fa scandalo un presidente divorziato (lo era Reagan), di sicuro un candidato bugiardo. Oltre alla sostanza, conta la forma. Mitterrand aveva amanti ovunque, ma le nascondeva. Ipocrisia? Certamente. Ma l’ipocrisia resta un omaggio che il vizio rende alla virtù. In ogni caso era la consapevolezza che la dissolutezza dei costumi è incompatibile con la gravità repubblicana.
Ecco, questo sembra essersi smarrito, da noi. S’è persa l’etica pubblica, lasciando spazio all’esibizionismo, alle smargiassate, a una selezione orribile del mondo politico. Vale per molti, non per uno. Per troppi. Segno dei costumi? No, segno del crollo della politica. Le idee contano meno, anche perché ce ne sono, e valgono, meno.

L’elettore sceglie per esclusione, e una sinistra disfatta e stagnante vive di antiberlusconismo, così come la maggioranza esiste grazie al berlusconismo.

Pensare di vincere una partita politica grazie agli scandali privati è una cretinata cubica, perché i cittadini non sono scemi e s’accorgono che questa è la prova del vuoto mentale degli oppositori. Tutti citano Clinton, per ricordare che in quel grande Paese il presidente che aveva mentito finì sotto processo. Certo, ma dimenticano l’ultimo atto, giacché il bugiardo se la cavò. Vinse perché la sua opposizione non era pronta e il tentativo di speculare su una mentina o un sigaro rovinato distrusse non Clinton, ma i suoi avversari. Morale della favola: gli affari privati hanno rilievo pubblico, l’etica pubblica conta, e, semmai, dovrebbe contare ancora di più, ma non sostituisce la politica. Le idee prima di tutto, la condotta a seguire.

Quest’estate bordellesca dovrebbe insegnare quel che Benedetto Croce scrisse, con impareggiabile precisione, a proposito dell’onestà in politica: «L’ideale che canta nell’animo degli imbecilli».

Non gli piacevano i disonesti, come a noi non piacciono i debosciati, ma evitava di confondere una parte con il tutto.

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