Cultura e Spettacoli

Lo scenografo Castelli si rivela pittore nella mostra:«La magia del costume»

Fino al 30 ottobre esposti a Roma, alla galleria Paolo Antonacci di via del Babuino, 24 dipinti ad olio con la tecnica seicentesca delle «velature». Abiti su misteriosi manichini senza volto che scatenano l'immaginazione .

É conosciuto a tutti come uno degli scenografi italiani più famosi in tutto il mondo, ma Gaetano Castelli è anche un pittore e ci tiene molto ad una passione nata quando era giovanissimo.
Una passione rimasta finora molto «privata», ma che si rivela adesso nella mostra aperta a Roma fino al 30 ottobre alla galleria Paolo Antonacci di via del Babuino.
S'intitola «La Magia del Costume» e presenta 24 opere che parlano di costume, parte integrante dello spettacolo secondo l'artista. Sono dipinti ad olio, realizzati con la tecnica delle «velature» utilizzata nella pittura secentesca.
«Uso il costume - spiega Castelli- come pretesto per introdurre il visitatore nel magico mondo del colore, della luce e della fantasia. Dipingendo costumi indossati da manichini senza volto invito a sognare quale sia il personaggio che interpreti quel ruolo e che indossi quel costume».
Gli abiti sono dunque pretesti per poter dipingere, modelli inventati dal pittore e messi sulla tela nel modo più scenografica che si può immaginare.
«Il pittore Gaetano Castelli - commenta Vittorio Sgarbi- è di professione scenografo, uno dei più apprezzati . Ma quando affronta la pittura non è più il professionista del servizio pubblico, ma un poeta monologante all'interno del proprio atelier, che medita prima sul soggetto, per poi intervenire sulla tela intonsa con una matita sottile che seziona lo spazio senza lasciare traccia, per articolare i volumi e per programmare gli spessori plastici dell'oggetto ritratto». Sgarbi nota, nei lavori su manichini o su nature morte, soprattutto «il radicalismo della traduzione dell'immagine, che sembra discendere dalla tradizione barocca, con tutte le conseguenze che questo comporta: gli oggetti al centro dei suoi quadri espongono il loro aspetto più spettacolare e drammatico».
Castelli è stato il primo a portare in scena i canoni della pittura, della scultura e dell'architettura. Nel corso degli anni i legami con la pittura si sono, da un lato, consolidati attraverso l'attività didattica e , dall'altro, intimizzati con la continua produzione. «Dipingo per me stesso», sostiene. E non ha mai smesso .
La sua pittura è rimasta un fatto squisitamente privato, finchè il critico Paolo Levi ha visitato il suo studio di Roma, lo ha scoperto come pittore e lo ha esortato a mettere in mostra le sue opere. Così i suoi dipinti sono stati esposti con successo di critica e di pubblico in Inghilterra e in Cina.
«Le sue opere - dice Levi- , mi portano a dichiarare che la grande pittura non è mai morta. Occorre riflettere sulla raffinatezza esecutiva dell'artista, sulla costruzione della pagina pittorica e sulla messa in scena di apparizioni assai forti, dove regna soprattutto il colore. La sapienza dei passaggi di colore è pari al virtuosismo del segno e dell'impostazione formale, che è calibratissima, mentre l'utopia poetica si esprime nelle sospensioni spaziali degli sfondi».
Nella mostra molte citazioni riportano alla moda, alle scenografie disegnate da Castelli stesso, alle decorazioni Lalique, ai temi cari a Botticelli, De Chirico, Van Gogh.
Paolo Antonacci, che si dedica allo studio dell'arte romana dal XVIII al XX secolo, quando ha scoperto i dipinti di Castelli ne è rimasto affascinato. Tradizionalmente si occupa di sofisticate vedute di Roma dell'Ottocento, qualcosa che sembra lontano dai magnifici costumi riportati su tela da Castelli. Eppure, ha voluto fare uno strappo alle sue tradizionali esposizioni e gli ha proposto di esibirli nella sua galleria per una mostra.
Dell'arte di Castelli ha scritto Gabriele Simongini: «Con la sua pittura ci porge una profonda meditazione sulla propria identità.

Ci invita a riempire con le nostre anime i suoi costumi, seducendoci con colori colmi di una luminescenza interna e ormai visionari».

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