Cultura e Spettacoli

SCHEIWILLER Ritratto dell’editore da giovane

Dal 1960 al ’75, quindici anni di «carte fatate» fra il «bucaniere» e l’autore siciliano

Capita talvolta di affrontare libri, personaggi impervi. Non tanto, non solo perché si tratti di approcci, confronti troppo ardui, quanto piuttosto per il fatto che tali stessi libri e personaggi palesano al primo impatto profili, proporzioni inaccessibili come prismatici monoliti che non offrono alcun appiglio, né ancor meno spiragli di sorta per potere, per qualche verso, penetrarli. In una parola, «comprenderli» non già nella loro essenza più esteriore, ma coglierli appieno nella loro effettuale complessità.
È giusto il caso d’un recente volume, Le carte fatate (Scheiwiller, pagg. 478, euro 18), formalmente presentato come «carteggio 1960-1975» tra l’appartato scrittore siciliano Antonio Pizzuto (1893-1976) e l’editore tutto eterodosso Vanni Scheiwiller (1934-1999) e, in effetti, costituito da un ordito epistolare ove vita, lavoro, passioni, idealità degli eponimi protagonisti si addensano in un mélange insieme prezioso e indicibile.
Questo stesso regesto di lettere, scambi d’idee, di esperienze letterarie ed editoriali - sempre connotati da una concezione raffinata, originalissima del momento creativo tanto da parte dello scrittore quanto da quella dell’editore - si rifà a una precedente pubblicazione dal titolo Saluti di corsa in cui, nel 2002, gli studiosi Alessandro Fo, Antonio Pane e Claudio Vela avevano assemblato parte dell’epistolario tra Pizzuto e Scheiwiller tratto, appunto, dall’archivio Pizzuto quale «affettuoso omaggio alla memoria di due grandi corrispondenti».
Che Antonio Pizzuto e Vanni Scheiwiller si possano definire tali è fuor di dubbio. Per primo si confessa un po’ amareggiato il pur volitivo, arguto Scheiwiller specie quando scrive: «Il lavoro editoriale fatto così da dilettante e bucaniere, mi entusiasma sì ma anche tanto faticoso - vorticoso com’è... sono un “giovane editore” viziatissimo dagli autori che si divertono a pubblicare da me come un piccolo lusso tipografico. Ma alle volte mi tocca piangere dalla fatica fisica: non è tutto oro (Pesce d’Oro) ecc. ecc.». «All’insegna del pesce d’oro» sono infatti i sofisticati libri-farfalla (come ebbe a definirli Eugenio Montale) inventati da Vanni Scheiwiller.
Parole a metà accorate, a metà testimoniali, quelle dell’editore-bucaniere cui il vecchio gentiluomo palermitano Pizzuto risponde con grata sollecitudine: «Carissimo signor Vanni, l’arrivo di una sua lettera... è divenuto una lietezza nei miei giorni uguali, monotoni, di lavoro e pensiero, privi sempre di fatti memorabili...». Palesando fin da questa collo-quialità nobile, elegante il fine scrittore di celebrati romanzi come Signorina Rosina, Si riparano bambole, Ravenna e di molteplici altri testi ricchi di dense suggestioni psicologiche e poetiche.
Va detto, tra l’altro, che la recente sortita delle Carte fatate viene a colmare una parte cospicua sia della vicenda creativa-esistenziale di Antonio Pizzuto (trasparente appunto dall’incalzare di missive dal tono sempre più confidenziale), sia delle «avventurose» gesta editoriali di Vanni Scheiwiller (di volta in volta lanciato in azzardate quanto esaltanti imprese: «Sono un editore in 32º a tiratura limitata ma credo di avere il più bel catalogo della poesia del ’900 italiana e straniera...»). E, ancora, Le carte fatate risulta, benché libro impervio, doppiamente allettante perché realizzato con un rigore e una dovizia documentali impareggiabili grazie all’appassionata cura di Cecilia Gibellini e all’esaustiva prefazione di Ricciarda Ricorda.
Al di là di tutto, quel che peraltro traspare evidente, grazie a un libro come Le carte fatate, è lo spesso retroterra culturale da cui sono scaturiti un personaggio, un’esperienza d’eccezione come quelli accentrati nella figura, nell’alta professionalità di Vanni Scheiwiller. Significativamente a questo proposito, in una sua attenta nota storico-esegetica, la studiosa Laura Novati scrive con perfetta cognizione di causa: «I quasi cinquant’anni di Vanni Scheiwiller editore... sono stati infatti una paziente e continua costruzione... Se si comprende questo, si capisce perché Scheiwiller si possa legittimamente considerare un vero protagonista della cultura italiana del secondo Novecento...».
D’altronde, l’avventura editoriale di Vanni Scheiwiller è davvero unica, irripetibile. A 17 anni, ancora liceale, ebbe dal padre Giovanni, già direttore della Libreria Hoepli, il compito di gestire la sua piccola casa editrice, All’insegna del pesce d’oro, fondata nel 1925. E il giovane Vanni si buttò intieramente - da allora e per tutta la vita - a stampare libri di letteratura, arte, poesia con una dedizione totalizzante. Fino a capitalizzare un autentico patrimonio di lettere, manoscritti, disegni, bozze, ritagli che - oggi, ormai catalogati, ordinati in un Fondo ad hoc - costituiscono una fonte inesauribile per lo studio più circostanziato della poesia del Novecento.
In tale e tanta profluvie di documenti, spicca soprattutto il catalogo inimitabile dei celebri «libri-farfalla» con i quali lo stesso Scheiwiller ebbe a coltivare per lunghi anni un assiduo legame d’amicizia, di reversibile stima con gli autori, i poeti da lui via via pubblicati e, spesso, prediletti: Montale, Ungaretti, Luzi, Quasimodo, Zanzotto, oltre i «maledettissimi» Ezra Pound e Ferdinand Céline.
Ma sono tant’altre le meritorie imprese di Vanni Scheiwiller: nel 1993 diede vita infatti alla prestigiosa collana «Il Sigillo», incentrata specificamente sulla cultura cinese, e poco più tardi iniziò una proficua collaborazione con gli istituti bancari più importaNti pubblicando, nella collana «Antica Madre», doviziosissimi, rigorosi testi storici sulle grandi civiltà del passato (Etruschi, Romani, Bizantini, Arabi, ecc.), volumi di smagliante bellezza di cui i cultori più attenti del libro ancora favoleggiano.
Un miracolo editoriale, dunque? Risponde con insospettato, resoluto pragmatismo Scheiwiller medesimo in uno dei suoi informali, dissacranti sfoghi: «Balle il miracolo editoriale. Miracolo sì ma di equilibrismo. Almeno per me. Agli altri non fa nulla cento milioni di deficit...

Sono tutti milionari, loro, ma io faccio libri da solo». E che libri!

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