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Sciiti senza maggioranza All’Irak democratico serve una coalizione di governo

Diffusi i risultati ufficiali delle elezioni parlamentari: Alleanza irachena non supera il 50%. Ora tocca ai leader trovare un’intesa

Alessandro Corneli

Due elezioni politiche e un referendum costituzionale nel corso del 2005, con una larga partecipazione degli elettori, hanno posto concrete basi per lo sviluppo della democrazia in Irak. Ieri sono stati resi noti i risultati ufficiali delle elezioni svoltesi il 15 dicembre per il nuovo e pienamente sovrano Parlamento (Consiglio dei Rappresentanti), formato da 275 deputati. Il dato politico specifico è che il partito sciita Alleanza irachena unita, fermandosi a 128 seggi, non ha ottenuto la maggioranza assoluta. Se da un lato non si può governare l’Irak senza gli sciiti, che sono più del 60% della popolazione, dall’altro lato sarebbe stato forse più difficile governare con un solo partito, che avrebbe riprodotto a condizioni rovesciate la situazione sotto Saddam Hussein, quando la minoranza sunnita governava e opprimeva quella sciita.
Il voto ha espresso sostanzialmente tre blocchi - quello sciita, la Coalizione curda con 53 seggi e il Fronte iracheno della concordia nazionale, sunnita, con 44 seggi - cui si devono aggiungere i 25 seggi della Lista nazionale irachena dell’ex premier Iyad Allawi, di formazione espressamente laica, nonché otto liste minori che hanno ottenuto seggi. Una tale composizione consente, prima ancora che la formazione di una coalizione, una realtà politica pluralistica che è la base su cui può consolidarsi la democrazia irachena. Infatti, solo riconoscendosi legittimità e pari dignità, i partiti iracheni potranno dare vita a un sistema funzionante, che ha pur sempre basi etniche e religiose, ma che si esprime adesso anche attraverso un pluripartitismo che fotografa in modo sostanzialmente veritiero la realtà del Paese.
È evidente che questo è un punto di partenza, ma è un buon punto perché arriva nel rispetto di un calendario prefissato nel giugno del 2004. Sono state felicemente superate le tappe dell’elezione dell'Assemblea nazionale (25 gennaio 2005) che ha redatto la Costituzione, del referendum (15 ottobre 2005) con cui la Costituzione stessa è stata approvata, e finalmente le elezioni da cui è nato questo Parlamento. Il percorso non è stato interrotto né dalla guerriglia né dal terrorismo e questo è un dato di fatto che premia anche gli sforzi della Coalizione che, nonostante le perdite, ha dato agli iracheni la dimostrazione di credere nel loro futuro democratico.
Ci si interroga sulle prospettive. Il realismo è d’obbligo. Gli attentati quotidiani fanno notizia, ma non incidono sulla vita della massa degli iracheni. Il punto critico resta però l’atteggiamento dei leader politici, che devono scegliere tra il fare funzionare le nuove istituzioni o il precipitare nella guerra civile. Farle funzionare significa considerare il potere in modo non esclusivo per una parte, ma accettare delle regole, che contrastano con il binomio storico cui erano abituati: dominio assoluto di una parte, oppressione dell'altra. Se la moderazione, che è essenziale alla democrazia, prevarrà, allora il Paese, nel giro di un paio di anni, potrà rimettersi in piedi e, avendo grandi risorse, potrà diventare un polo di sviluppo in tutta la regione.
È nell’interesse del nuovo governo che le strutture amministrative riprendano a funzionare perché in tal modo si avvicinerà il momento del completo ritiro delle truppe straniere e sarà proprio il governo a guadagnarne in autorevolezza. Non solo l’Italia, ma anche Regno Unito e Stati Uniti hanno già annunciato una progressiva exit strategy che, stante il rispetto del calendario della democratizzazione del Paese, è un passo logico e previsto.
Non è un caso che, alla vigilia dei risultati ufficiali delle elezioni, Osama Bin Laden si sia rifatto vivo con nuove minacce, come a volere distrarre l'attenzione dal fallimento del tentativo di Al Qaida di boicottare le elezioni. Perché adesso, anche sul piano formale e istituzionale, Al Qaida è un nemico del nuovo Irak democratico. Ciò che preoccupa è l’evoluzione del quadro esterno, soprattutto in considerazione delle posizioni estremiste assunte dall'Iran, Paese leader del mondo sciita, che potrebbe cercare di attirare nella propria orbita il partito sciita iracheno di maggioranza relativa. Sull'Irak influirà anche l’evoluzione della situazione in Israele e Palestina, dove l'assenza di Ariel Sharon potrebbe farsi sentire soprattutto dopo le elezioni israeliane del 28 marzo. Tutto si tiene in Medio Oriente.

Adesso registriamo un successo della democrazia, cui anche noi italiani abbiamo contribuito.

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