Cultura e Spettacoli

Scola compie ottant'anni: «Un nuovo film? Preferisco dedicarmi ai giovani»

Il compleanno del regista e sceneggiatore verrà festeggiato domani alla Casa del Cinema di Roma. Sarà l'occasione per rivedere «La famiglia» il documentario «1943-1997»

In un momento mai tanto felice per il cinema italiano Ettore Scola si appresta a spegnere ottanta candeline. Il regista e sceneggiatore è infatti nato un piccolo centro dell'Avellinese il 10 maggio del 1931. Mentre Bellocchio e Bertolucci si apprestano a ricevere i massimi onori sulla Croisette, Scola è al centro di una serie di iniziative che si concluderanno domani a Roma alla Casa del Cinema.
Il David di Donatello «speciale», consegnatogli da Gian Luigi Rondi ha rappresentato in questo senso una sorta di preambolo di tutto rispetto. «Per fortuna qui in Italia ci conteniamo con le celebrazioni - commenta con ironia il maestro della commedia all'italiana - anche perché forse abbiamo un certo numero di cose più serie a cui pensare. All'estero, dove non vado, le celebrazioni si sprecano, dalla Francia al Sud America dove vivono ancora nel mito di un nostro cinema che non c'è più».
«Alla Casa del Cinema - aggiunge Scola - invece andrò, non potrei proprio fare diversamente, ma non riesco a dirmi troppo emozionato non è nella mia natura». Nato a Trevico, il paese più alto dell'Irpinia, emigrato a Roma da giovanissimo, studente di legge e «battutista» sul «Marc'Aurelio» di Ruggero Maccari e poi alla radio per le gag di Alberto Sordi, Scola cresce nel cinema italiano come un vero «ragazzo di bottega». I suoi maestri sono lo stesso Maccari, Mario Mattoli, Steno, Antonio Pietrangeli ma anche la grande generazione d'attori che viene dal palcoscenico del varietà, da Totò a Sordi. Eppure è a Vittorio De Sica che poi dedicherà il suo capolavoro «C'eravamo tanto amati» del '74 ed è alla lezione del neorealismo che guarderà, con occhio lucido e personale con il suo «Una giornata particolare» del 1977, impreziosito dalle interpretazioni di Mastroianni e della Loren.
Quel decennio coincide certamente con il momento di massima creatività dell'autore che però firma le sue prime sceneggiature già all'inizio degli anni '50, conoscendo successi crescenti da «Un americano a Roma» ad «Accadde al commissariato», da «Il conte Max» a «Il mattatore» o «La marcia su Roma» che preannuncia il suo esordio dietro la macchina da presa. È il 1964, il film è «Se permettete parliamo di donne»: lo sceneggiatore Scola finisce dietro la macchina da presa quasi per scommessa. Un buon successo, una collaudata sicurezza del mestiere gli consentiranno di ripetersi con frequenza a distanza ravvicinata («La congiuntura» e «L'arcidiavolo») ma è nel '68 che, grazie alla garanzia di Alberto Sordi, firma il suo primo successo popolare con «Riusciranno i nostri eroi». I vizi degli italiani sono tutti in bella mostra, l'approccio è personale e diverso da quello dei Monicelli e Risi, una sommessa vena di malinconia e di solidarietà per i suoi personali «mostri». Dopo il copione perfetto di «Io la conoscevo bene» (per Pietrangeli), dal '69 («Il commissario Pepe» con Ugo Tognazzi è omaggio indiretto al cinema di Pietro Germi) Scola diventa un «autore» a tutto tondo.
Mentre i fratelli Taviani, colleghi e coetani, annunciano di voler tornare dietro la macchina da presa con un progetto ispirato dai detenuti del carcere romano di Rebibbia, Scola guarda oggi con affettuoso disincanto al suo lavoro: «Per il momento non ho tanta voglia di girare un film - ammette - anche perché diventa perfino difficile trovare il tempo: sanno che sei libero e ti cercano tutti, per le richieste più strane. Ogni paesino ha un cinema che rischia la chiusura, un festivalino che cerca di crescere, un circolo culturale. E io tutto sommato mi commuovo a sentire tanta passione, mi sembra tempo ben speso quello a fianco di giovani che credono ancora in valori e idee».
«Non mi pare che le cose siano migliorate - commenta - Anzi. Ma mi fa piacere che alla Casa del Cinema mostrino "La famiglia" che abbraccia idealmente 80 anni di storia italiana e un piccolo cortometraggio contro il razzismo come "1943- 1997" cui tengo molto».
Di Scola va ricordata la sua «seconda anima», quella di più ampio respiro europeo che passa per titoli come «Il mondo nuovo» (1982), «Ballando ballando» (1983), «Il viaggio di Capitan Fracassa» (1990), «Gente di Roma» (l'ultima sua regia fino ad oggi, nel 2003). E che la politica sia stata sempre la sua passione è facile ricordarlo scorrendo la lista dei documentari che ha firmato con autentico impegno lungo tutta la carriera: da «Viaggio nel Fiat-Nam» (tipico esempio di militanza nei primi anni '70) fino a «Un altro mondo è possibile» e «Lettere dalla Palestina» (opere collettive dei cineasti italiani del 2002), passando per il toccante «L'addio a Enrico Berlinguer» del 1984.


Nel corso della serata alla Casa del Cinema, verrà proiettato anche «Io la conoscevo bene» con Amanda Sandrelli.

Commenti