Cultura e Spettacoli

«La sconfitta di El Alamein? Tutta colpa degli ammiragli»

Sabbia, vento, carri armati che corrono sulla sabbia, eroismo disperato e morte. Ovvero la battaglia di El Alamein. Uno degli episodi forse più raccontati della Seconda guerra mondiale. Eppure su questa battaglia (in realtà gli scontri furono due, uno avvenuto tra il primo luglio e il 27 luglio del 1942 con le forze dell’Asse all’attacco, il secondo e più famoso avvenuto tra il 23 ottobre e il 4 novembre 1942 con esiti disastrosi per gli uomini di Erwin Rommel) non è stato raccontato ancora tutto. Perché storici e testimoni si sono spesso concentrati su quello che è avvenuto tra le dune di sabbia e sulle aride spianate attorno alla linea difensiva delle forze italo-tedesche, ma hanno faticato a raccordare i fatti del fronte con un quadro più ampio. Ci ha provato con un approfondito lavoro Alfio Caruso, giornalista prestato alla Storia i cui titoli più famosi sono: Italiani dovete morire, Tutti i vivi all’assalto e Arrivano i nostri (tutti editi da Longanesi).
Il suo nuovo libro L’onore d’Italia. El Alamein: così Mussolini mandò al massacro la meglio gioventù (Longanesi, pagg. 346, euro 18,60) racconta tutta una serie di retroscena poco noti dei fatti che hanno portato a una cocente sconfitta degli italiani sullo scacchiere africano. L’unico su cui forse, agendo tempestivamente, avrebbero avuto serie possibilità di vittoria. Ne abbiamo parlato con lui.
Alfio Caruso, Lei ha studiato una documentazione molto corposa sulla campagna d’Africa che ha portato agli scontri di El Alamein: quali sono le novità...
«Beh, in primo luogo un fatto ignorato da molti e trascurato dagli storici è che le vittorie di Rommel potrebbero essere in buona parte merito dell’intelligence italiana, cosa di cui nessuno parla mai...».
Ci spieghi...
«Come racconto nel libro, un maggiore dei Carabinieri, Manfredi Talamo, riuscì a impadronirsi del Black Code, un codice cifrato, all’ambasciata americana di Roma. Questo consentiva di decrittare tutte le comunicazioni tra americani e inglesi. E sin che i codici non vennero cambiati, Rommel giocò sempre in vantaggio. Infatti la sua sconfitta coincide proprio con la perdita di quelle informazioni vitali».
Quindi Rommel non era un genio, era ben informato. Giusto?
«Rommel, per fare un paragone calcistico, era come l’allenatore Zdenek Zeman, fortissimo all’attacco ma scarso in difesa. La definizione di genio però è un po’ troppo: fu un generale capace di sfruttare bene le informazioni degli italiani. Da noi c’è il vezzo di sottovalutare il generale Montgomery, ma la sua strategia di logoramento alla lunga diede i suoi frutti. Sapeva che tra attacchi e contrattacchi alla fine le riserve scarsissime di mezzi degli italo-tedeschi si sarebbero esaurite».
E qui arriviamo all’annosa questione dei trasporti e del comportamento degli alti comandi della Marina italiana. Ammiragli da fucilare?
«Quello che è certo è che in moltissimi casi gli inglesi colpivano i trasporti a colpo sicuro. Erano informati di rotte, orari, consistenza delle forze di difesa. Se a questo si aggiunge che moltissimi alti ufficiali della Marina militare erano legati alla massoneria di rito scozzese, o avevano mogli inglesi e americane... C’era poi una diffusa antipatia verso i tedeschi, che erano stati il nemico durante la Prima guerra mondiale. Alla fine gli stessi comandanti dei trasporti presero l’abitudine di non comunicare alla Supermarina (cioè il comando centrale delle forze navali) i dettagli della rotta, il che è tutto dire. E in quei casi, radar o non radar degli inglesi, molto spesso le navi di rifornimento arrivavano senza subire imboscate. Difficile che fosse solo un caso...».
Insomma i trasporti con i mezzi necessari all’Afrika Korps non venivano intercettati per caso o per i radar...
«Quello che è certo è che quando i convogli agivano in autonomia senza informare la Supermarina le probabilità di arrivare indenni salivano enormemente. E che la Marina tifasse per giungere a una fine rapida del conflitto, anche a prezzo di una sconfitta, è testimoniato da molti documenti compreso un memoriale che all’epoca giunse persino a Mussolini... Gli stessi tedeschi erano pieni di sospetti».
Insomma la sconfitta di El Alamein non è maturata nel deserto...
«No, ci furono gli errori tattici di Mussolini, come la folle campagna di Grecia e di Russia che distrassero reparti fondamentali dal fronte africano, e le scarse capacità dei generali italiani. Ma ci fu anche chi remò contro.

Gli italiani al fronte si comportarono con coraggio e onore, altrove molto meno».

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