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Scoperta la proteina che dà la "luce verde" ai tumori

É stata chiamata «semaforina» dagli scienziati dell'Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo (Torino). I risultati preliminari del gruppo piemontese hanno mostrato che è possibile agire sulla semaforina per bloccarne l'azione

Il nome scelto dagli scienziati per questa classe di molecole, le semaforine, spiega già tutto. Queste proteine, presenti in una ventina di tipi diversi nel corpo umano, sono responsabili della migrazione delle cellule, e una in particolare, la semaforina E3, dà «luce verde» ai tumori per la formazione delle metastasi. Lo hanno scoperto i ricercatori italiani dell'Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo (Torino), e i risultati dello studio pubblicato dal Journal of Clinical Investigation potrebbero un giorno dar vita a nuovi farmaci in grado di bloccare la dispersione del tumore ad altri organi. Lo studio ha esaminato diversi tipi di semaforine, e ha scoperto che la E3 regola la formazione delle metastasi su cellule umane di melanoma e tumore del colon retto: «Quello che abbiamo trovato - spiega Luca Tamagnone, che ha supervisionato lo studio - è che in tumori con alti livelli di semaforina E3 sono più invasivi e hanno una maggiore formazione delle metastasi. Noi abbiamo investigato questi due tipi di tumore, ma non è detto che lo stesso meccanismo non funzioni anche per gli altri». La scoperta ha una doppia valenza: da una parte si potrebbero realizzare dei test diagnostici che permettano di capire se un tumore è particolarmente «cattivo» sulla base del livello di semaforina, dall'altra i risultati preliminari del gruppo piemontese hanno mostrato che è possibile agire sulla semaforina per bloccarne l'azione: «Abbiamo già trovato una sostanza che blocca selettivamente la proteina - spiega l'esperto - ma questa non può essere trasformata in farmaco, quindi ora ne stiamo cercando altre che possano essere usate per le terapie. Sul fronte diagnostico, una difficoltà è che servono numeri molto grandi per validare un test di questo tipo, ma di sicuro la nostra scoperta è un primo passo». Nello stesso numero della rivista è pubblicato un altro studio dell'istituto di Candiolo, che è finanziato dalla fondazione piemontese per la ricerca sul Cancro e dall'università di Torino: i ricercatori guidati da Alberto Bardelli hanno scoperto che l'Everolimus, un farmaco finora usato solo nel carcinoma del rene, è efficace anche in quelli del colon retto che presentano una particolare variante genetica. Bardelli e la sua equipe hanno ricostruito in vitro una 'bibliotecà di profili molecolari corrispondendi a quelli dei pazienti reali e, quindi, effettuato uno screening di farmaci, provando una sessantina di antitumorali a bersaglio molecolare.

La scoperta è stata poi confermata confrontando i dati con quelli di uno studio analogo dell'università di Barcellona.

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