Cultura e Spettacoli

Scrivi contro il potere? Finisci in tv

Nel resto del mondo chi combatte i regimi ci rimette o la carriera o magari la vita. In Italia chi contesta il "tiranno" Berlusconi pubblica per colossi editoriali, firma sui grandi giornali, fa film e conduce trasmissioni

Scrivi contro il potere? Finisci in tv

Gli scrittori combattono il potere? In teoria sì, poi a tempo perso potrebbero anche scrivere opere, ma prendiamo per buono l’imperativo categorico dello scrittore impegnato contro il potere. Per rispondere alla domanda bisognerebbe verificare cosa significa il potere per uno scrittore. Combattere il potere, ammesso che questa debba essere la preoccupazione principale di uno scrittore, e ammesso che questa missione debba essere intesa in senso politico, significa rischiare qualcosa. Non in astratto, nel mondo delle idee, ma in concreto, sulla propria pelle. Chi combatte la mafia in Sicilia o la camorra in Campania rischia di essere ucciso. Chi dissente dal regime di Ahmadinejad in Iran rischia di essere incarcerato e condannato a morte. In ogni caso contrastare il potere dovrebbe costare qualcosa.

Tuttavia c’è un solo minimo comune denominatore tra tutti i letterati italiani, nessuno escluso: se interpellati, gli scrittori si oppongono a Berlusconi. Vale per tutti, vecchi e giovani, uomini e donne, esordienti e non, da Saviano a Melissa P, da Nicola Lagioia a Umberto Eco, da Scurati a Cordelli, da Camilleri alla Murgia fino all’ultimo romanzino di Brizzi, supportati dall’intera casta dei critici, che li citano, li coccolano, li interpellano. Se dunque Berlusconi è il simbolo del potere, quali pericoli corre oggi chi attacca Berlusconi? Non rischia alla Mondadori o all’Einaudi, si sa, basta chiederlo agli ossessionati antiberlusconiani che pubblicano con le case editrici di proprietà di Berlusconi, ossia gran parte degli autori in classifica, e non ci pensano proprio a cambiare editore. Non rischia sui quotidiani nazionali, dove timbrare il cartellino dell’antiberlusconismo è un obbligo, e sfido chiunque a provarmi il contrario, a trovarmi un pensiero di scrittore incompatibile con gli altri, irregolare, non omologato, non allineato, politicamente inclassificabile.

Se invece scrivete su un quotidiano di destra, come il sottoscritto, sarete invisi e disprezzati come collaborazionisti e servi, a prescindere da quello che scrivete, perfino quando scrivete contro la legge 40, contro la religione, o a favore dell’eutanasia e delle unioni civili tra omosessuali, e alla meno peggio ricevete l’invito di un tristissimo circolo culturale di destra in qualche provincia italiana di destra, peggio ancora da qualche associazione cattolica che, per riflesso condizionato, vi inviterà per equivoco, come sa bene chi è venuto a una mia presentazione a Bergamo finita con sussurri e grida e rissa finale. Perfino la Newton Compton, editore indipendente di un mio libro contro la casta intellettuale di sinistra, mi ha avvertito che è meglio non essere troppo appoggiati dal Giornale, pena l’emarginazione culturale (mentre per premio di consolazione ho ricevuto una lettera di solidarietà di Silvio Berlusconi più simile al messaggio di un partigiano da una montagna). Intorno, a parte i numerosi lettori che mi scrivono, il deserto. In altre parole uno scrittore che non sia antiberlusconiano, che non si dichiari antiberlusconiano non appena viene interpellato su qualsiasi argomento, uno scrittore libero, non dico di destra, ma che per esempio non stia né di qua né di là e non sia ossessionato da Berlusconi, è letteralmente tagliato fuori dall’establishment culturale. Emarginato dai salotti che contano, dai dibattiti pubblici che contano, dagli incontri letterari che contano, dalle trasmissioni che contano.

Quindi torno a chiedermi: opporsi al potere non dovrebbe comportare un rischio? Vale per la cultura, vale per il giornalismo, vale per la televisione. Se a essere antiberlusconiani per partito preso non soltanto non si rischia nulla ma se ne traggono solo dei vantaggi, anche economici, qualcosa non quadra. Basti pensare ai regimi totalitari: chi scriveva contro il fascismo durante il fascismo rischiava, chi scriveva contro il nazismo durante il nazismo rischiava, chi scriveva contro il comunismo in un Paese comunista rischiava, e il coraggio è sempre proporzionale al rischio. Viceversa oggi rischia chi non si professa antiberlusconiano, perfino se parlare di Berlusconi ti annoia perché vorresti parlare di altro, di cultura per esempio, in quanto anche lì ci hanno convinto che attaccare Berlusconi sia la massima espressione culturale. Se uno scrittore, a qualsiasi domanda gli si ponga, sulla vita, sull’odio, sull’amore, sugli uomini, sulle donne, non esprime un’opinione contro Berlusconi, in genere sempre la stessa opinione, viene messo al confino.

I politici di sinistra lo sanno bene: il poeta politico Nichi Vendola ha schiere di scrittori, attori e intellettuali al suo seguito, come ieri ne aveva lo scrittore politico Veltroni. Nessuno scrittore, inoltre, deve osare inimicarsi il potente clan di Repubblica, altrimenti potrebbe scrivere i capolavori che vuole ma non entrerebbe mai neppure con una riga su una Garzantina, è matematico. Perfino l’apolitica e lunare Isabella Santacroce, che si vide censurato proprio da Repubblica un intervento sulla critica italiana, alla mia proposta di pubblicarlo sul Giornale non se la sentì, preferì tacere e metterlo sulla sua pagina di Facebook, lei che non ha paura di uscire indossando completini ornati di svastiche. Stessa cosa mi accadde con un grande scrittore come Antonio Moresco: censurato da Repubblica, rifiutò di pubblicare il proprio testo su un quotidiano di destra e senza mai denunciare la censura subìta dal quotidiano di sinistra. Idem il Leopardi Centre, il quale ricevette da Berlusconi centomila euro per tradurre lo Zibaldone in inglese, e a tutt’oggi, dopo tre anni, sul sito non compare il nome del mecenate, se ne vergognano e solo per aver accettato la donazione sono stati messi all’indice dagli atenei italiani.

Gli esempi sarebbero infiniti, ma per farla breve: sarà per questo senso di colpa che ogni scrittore «scomodo» o intellettuale «scomodo» sente il dovere di annunciare, prima di ogni discorso su Berlusconi e sul potere, la censura del potere, tanto annunciata quanto mai avvenuta? Più che un’ossessione, non sarà solo il modo più chiassoso e paraculo per nascondere l’evidente, incontrastata e imbarazzante comodità del proprio potere totalitario, quello contro cui uno scrittore rischia sul serio?

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