Controcultura

Se in America il Vietnam e JFK non sono passati

David Means - scrittore americano stimato per i suoi racconti incendiari, capaci di dar fuoco alla pagina come di far fuoco e fiamme nella mente del lettore - debutta con un romanzo che sin dal titolo, gioco di parole che coniuga isteria e distopia, ci catapulta in un'America parallela, in una di quelle ucronie da universi paralleli di cui Philip K. Dick è stato il primo maestro

Se in America il Vietnam e JFK non sono passati

David Means - scrittore americano stimato per i suoi racconti incendiari, capaci di dar fuoco alla pagina come di far fuoco e fiamme nella mente del lettore - debutta con un romanzo che sin dal titolo, gioco di parole che coniuga isteria e distopia, ci catapulta in un'America parallela, in una di quelle ucronie da universi paralleli di cui Philip K. Dick è stato il primo maestro. Perché Means, attraverso l'esperimento di un'America altra, ci racconta l'America oggi. Siamo negli anni '70, JFK non è stato ucciso da Lee Oswald a Dallas, ma è al suo terzo mandato presidenziale. Se l'America si è sempre interrogata sull' «If», sul «cosa sarebbe successo se» Kennedy non fosse stato assassinato e se la Guerra nel Vietnam avesse avuto un altro esito, Means immagina un mondo ancora peggiore. Una landa desolata, divisa in «Griglie», dominata da bande di reduci di guerra (tenuti sotto controllo attraverso terapie psichiatriche sia comportamentali che chimiche) e da motociclisti che imperversano tra le macerie morali di Stati che non hanno più una propria unità.

Il sogno americano si è disintegrato in una violenza in fin dei conti silente che vede protagonisti psicotici, serial killer, soldati in preda a disturbi post-traumatici o lontani dal voler superare una ferita mai davvero cicatrizzata. In realtà - anche l'edizione Usa distrae molto sin dalla copertina, che ritrae un teschio con un casco tra pillole lisergiche stilizzate flower power - ricondurre Histopya a un romanzo sul Vietnam sarebbe riduttivo. È vero: Means ci racconta di quegli anni, ma il richiamo al Vietnam è soltanto una scusa per descrivere un presente a molti di noi ignoto. Tutti scrivono dello scandalo a luci rosse del produttore hollywoodiano Weinstein, ma nessuno racconta che in quella stessa Los Angeles oggi vivono migliaia di giovanissimi senza tetto, per lo più reduci dalle guerre in Medio Oriente, distrutti da quell'esperienza e imbottiti di droghe sintetiche.

Una realtà che Means, con l'espediente della finzione del passato, denuncia a chiare lettere ed è questa la vera potenza del romanzo.

Certo, il respiro narrativo non è quello dei suoi riuscitissimi racconti (in Italia per minimum fax ed Einaudi), si risente troppo dell'influenza di Dick nell'invenzione a esempio delle droghe psicotiche o di una polizia da regime psichiatrico, ma è un romanzo coraggioso, che affronta temi che nessuno scrittore americano denuncia.

Commenti