Se la Calabria sfoglia la Margherita

Pietro Mancini

In Calabria, la «malapolitica», o la «polimafia», si sarebbe spinta su un terreno molto inquietante, quello del delitto, commissionato per far pagare a Franco Fortugno la sua elezione a consigliere regionale e la conseguente trombatura di un altro candidato della Margherita, Mimmo Crea, protagonista di un clamoroso «salto della quaglia» dal centrodestra al centrosinistra. «Ribaltone» al quale tanto Fortugno quanto il governatore della Regione, Agazio Loiero - lo ha rivelato la signora Laganà, vedova del politico di Locri ucciso il 16 ottobre scorso, ai magistrati di Reggio - erano fermamente, e giustamente, contrari. Entusiasti sull'imbarco di Crea si dimostrarono, invece, i vertici, nazionali e calabresi, dei Dl, sulla base di una valutazione molto superficiale e limitata ai voti, 15mila, che si sperava il personaggio, già all'epoca chiacchierato e discusso, avrebbe portato in dote al partito. Tutti gli indagati hanno il diritto allla presunzione di innocenza e la magistratura e le forze dell'ordine devono continuare a muoversi con rigore, ma senza inutili clamori. Bene ha fatto il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria a rifiutarsi di fare ipotesi sul coinvolgimento nell'inchiesta dell'esponente politico, cui faceva riferimento, come galoppino elettorale, il presunto mandante dell'assassinio di Fortugno, Alessandro Marcianò, arrestato insieme al figlio, pregiudicato per traffico di stupefacenti.
Ma, oltre al versante giudiziario, esiste quello politico. Ne è pienamente consapevole Loiero, che ieri ha invitato i capi, Rutelli e Marini, del suo ex partito, sinora silenziosi, a far pressioni su Crea, per convincerlo a «non rimanere un giorno in più in Consiglio regionale e a lasciare la politica». Crea, che in una telefonata intercettata definiva il Marcianò «fratello mio», è subentrato a Fortugno in Consiglio, all'indomani del delitto di Locri. Una presa di posizione, quella del presidente della giunta calabrese, apprezzabile e chiara, alla quale è auspicabile che il vertice della Margherita risponda con altrettanta chiarezza, rifuggendo da ambiguità, tatticismo e accondiscendenza verso i referenti locali non trasparenti e corretti.
In Calabria, gli scontri interni al partito di Rutelli e di Marini, hanno assunto caratteri e toni gravissimi e forsennati. In una telefonata a Crea, Luigi Meduri, 65 anni, reggino, ex notabile dc di lungo corso, attuale sottosegretario alle Infrastrutture, definiva Agazio Loiero «un cretino» e il suo collega di partito, Franco Fortugno, «un idiota, una brava persona, ma che non capisce un c...». Conversazioni incandescenti e spesso volgari, che denotano un «comparaggio allucinante» (Loiero dixit), scontri senza esclusione di colpi sulle nomine nella sanità pubblica, trasversalismi, lotte senza quartiere all'interno dello stesso partito: un quadro molto allarmante, insomma, che dovrebbe far suonare un campanello d'allarme, a Roma, nel quartier generale dei Dl, ma anche dalle parti di Palazzo Chigi. Certo, oggi la priorità è il doveroso sostegno al lavoro degli inquirenti e del prefetto De Sena, finalizzato allla riduzione della presenza della ’ndrangheta nella provincia di Reggio Calabria. Ma anche le persone perbene dei partiti dovrebbero interrogarsi sui reali motivi per cui, in Calabria, la qualità dei gruppi dirigenti sia scaduta paurosamente e non si sia sia potuto (o voluto?) arginare l'influenza dei settori inquinanti nella politica. È accettabile che, nella regione, siano ormai molto poche e marginali le voci di quanti sollecitano i partiti a tornare a scontrarsi sui progetti e sulle idee e a smetterla di pensare unicamente alle poltrone e agli strapuntini, come quell'esponente della Margherita che, al telefono, diceva al suo «capodiniente»: «La Margherita, qua, uno ne prende? Allora, speriamo che siate voi!...».
Ma il primo segnale, quello più atteso, non deve venire da Locri o da Reggio, ma da Roma. Il governo e i due schieramenti devono impegnarsi per una profonda riforma, morale e politica, delle organizzazioni partitiche.

E per favorire un più penetrante controllo democratico sui nuovi ingressi, sulle nomine e sulle candidature.

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