Stile

Se la moda diventa arte e Firenze è la sua passerella

Il progetto promosso dalla Fondazione Ferragamo si snoda nei vari musei della città allungandosi fino a Prato

Cesare Cunaccia

Memore del suo primato ancestrale e della moderna epopea della Sala Bianca di Pitti, Firenze si propone oggi quale capitale della moda italiana grazie a una serie di mostre che disegnano un progetto unitario in più sedi, dall'ambizioso titolo di «Tra Arte e Moda». Promossa e generosamente organizzata dalla Fondazione Ferragamo, l'iniziativa è nata da un'idea di Stefania Ricci, direttore del Museo Ferragamo e responsabile di importanti esposizioni ed eventi a livello internazionale. Insieme a lei un manipolo di curatori- tra cui Enrica Morini e Alberto Salvadori, direttore del Museo Marino Marini, che ospita «Collaborazioni»-, oltre a un gruppo di giovani studiosi e tecnici che hanno partecipato alle varie fasi di ricerca e realizzazione.

«Tra Arte e Moda» si snoda attraverso Istituzioni museali note e meno note dell'area fiorentina, sconfinando anche a Prato, nei magnifici spazi del Museo del Tessuto. Qui non si può perdere la sezione «Nostalgia del futuro nei tessuti d'artista del Dopoguerra», con disegni per la stampa su stoffa di Lucio Fontana, Bruno Munari, Roberto Crippa, con i foulard d'autore di Carlo Cardazzo per la Galleria del Cavallino a Venezia, firmati da Capogrossi, Campigli, Saetti, Fontana, Marino Marini, tra gli altri. O, ancora, con gli arazzi di Chighine, Atanasio Soldati e Guido Marussig. Lungo lo sviluppo espositivo della rassegna, si rivelano tappe tematiche molto significative e concluse in sé, declinate sul filo di una sottile o dichiarata evocazione e con approcci e apporti differenti, mirati a identificare assonanze estetiche, imprestiti e compenetrazioni dirette tra l'ambito dell'espressione artistica e quello del fashion. Uno schema poco invasivo e che lascia correre liberamente l'immaginazione del visitatore in un gioco di segni e suggestioni. La stretta filologica è incarnata soprattutto dalla bellissima sezione dedicata alle affiches e riviste alla Biblioteca Nazionale Centrale, dove in particolare il magazine «Lidel» stupisce per l'estrema modernità e sofisticazione e testimonia dell'attenzione forse poco nota tributata del Regime fascista al settore della moda e della comunicazione della stessa. «Abbiamo scavato in un materiale di oltre cinquantamila periodici di settore- sottolinea il co-curatore Luca Scarlini- per arrivare a concentrarci particolarmente sul panorama italiano, dai primi del XX secolo in poi». Un dato importante di questa corale operazione è anche la rilettura dei luoghi che fanno da cornice a questo racconto, che si dipana tra gli Uffizi e Palazzo Pitti- segnatamente nella Galleria d'Arte Moderna, con un excursus ottocentesco tra Firenze sabauda e Macchiaioli, ritrattistica ufficiale e atelier parigini come le mitiche Callot soeurs -, presso il Museo Salvatore Ferragamo di via Tornabuoni, al Museo Marino Marini, alla Biblioteca Nazionale Centrale e nel Museo del Tessuto di Prato. «Il percorso- afferma Stefania Ricci- per rispondere alla fatidica domanda la moda é arte e indagare il mosaico di complesse e articolate relazioni tra le due discipline, analizza le forme di dialogo tra questi due mondi. Siamo partiti idealmente dall'Ottocento, quando i rapporti reciproci si fanno più intensi e palesi. Quindi si passa dalle esperienze artistiche dei Preraffaelliti a quelle del Futurismo, dal Surrealismo al Radical Fashion. Una particolare attenzione è stata indirizzata verso il lavoro di Salvatore Ferragamo, sulla sua fascinazione e sulle ispirazioni che Ferragamo ha tratto da molti capitoli della storia dell'arte e in particolare dalle avanguardie attive nel Novecento». L'emozione diventa forte davanti a un paesaggio di inimitabili calzature inventate dal grande Salvatore con una sperimentale capacità visionaria dagli anni '30 in poi, in un mirabile equilibrio tra virtuosismo tecnico e creatività concettuale.

Emozione che viene sottolineata dalla retrostante installazione video pensata dallo studio di visual design Karmachina, che mette in dinamico dialogo e confronto diretto i modelli di scarpe e le loro variegate fonti di riferimento, dal solco della classicità all'Oriente, dal Surrealismo alla cultura autoctona fiorentina. Lí accanto vi è l'opera dell'americano Kenneth Noland che nel 1958 suggerì a Ferragamo la definizione estetica della décolleté «Tirassegno», i cui caratteristici elementi di linguaggio minimale sono stati scelti quale immagine della mostra. Una sala intera è stata dedicata all'atelier di Germana Marucelli negli anni '60, laboratorio che, con gli operatori della moda incrociava artisti e intellettuali come Ungaretti, Montale e Quasimodo, habituées del salotto milanese della couturière. Fanno sensazione le opere di Paolo Scheggi e Pietro Zuffi e quelle cinetiche in acciaio di Getulio Alviani, esposte vicino agli abiti analogici generati dal sodalizio con queste figure creative. Vengono subito in mente associazioni cinematografiche coeve, dalla «Barbarella» di Vadim fino all'estetica iperpatinata di «Metti una sera a cena» di Patroni Griffi. Ci sono la robe Mondrian di YSL e gli sconcertanti scatti fotografici raffiguranti Andy Warhol della serie «Altered Image» di Christopher Makos, le ipnotiche geometrie fauve di Sonia Delaunay e il sogno neogotico in velluto verde peridot a ricami di Rosa Genoni, un mantello a strascico desunto da un disegno di Pisanello, realizzato per l'Expo di Milano 1906.

Ma la partita transepocale imperniata su mille riflessi e immaginari proposta da «Tra Arte e moda», sembra davvero poter continuare all'infinito.

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