Cronaca locale

Se il nemico dei writer scopre che è il figlio a imbrattare i palazzi

Un amministratore impegnato contro il graffitismo costretto a pagare la multa. Il Comune insiste sulla tolleranza zero. Muri solo agli "artisti legali"

Se il nemico dei writer 
scopre che è il figlio 
a imbrattare i palazzi

Quando si dice «la serpe in seno». Ci avrà pensato per un attimo anche lui, il paladino anti-writers, l’amministratore di condominio in campo per la tolleranza zero, quando l’altra notte si è visto chiedere i danni dai vigili per i graffiti fatti dal figlio. «Tu quoque» e chissà cos’altro gli avrà urlato questo padre tradito che da anni partecipa alle campagne di De Corato contro i finti artisti imbrattatori, lui che ha perfino spronato i condòmini a denunciare i tupamaros con le bombolette e che adesso è costretto a pagare i fatidici 450 euro di multa. E senza neanche la speranza di veder annoverare il figlio tra i «novelli Giotto» di Sgarbi, visto che questi si è fatto beccare in flagrante assieme a quattro compagni di ventura mentre «dipingeva» solo una banale sigla: «Tag». In cinque per una firma, e per di più su un palazzo comunale tra via Tabacchi e via Baravalle, a due passi da un commissariato. La scritta, del resto, era lunga venti metri e ogni graffitaro segue un copione ben preciso: c’è chi si occupa dei contorni, chi dei fondi e chi delle ombreggiature. Insomma, non sarà la cappella Sistina, ma c’è del lavoro. Incredulo di fronte agli agenti che gli mostravano cotanta opera, questo padre antiwriter sarebbe riuscito solo a rispondere «Non ho parole».
Ma a tutto c’è rimedio, perchè da tempo Milano è diventato un osservatorio privilegiato sul graffitismo, tra processi spettacolo, nobilitazioni critiche, mostre pubbliche e castighi esemplari. Pare ad esempio che quello stesso muro fosse stato appena ripulito da altri due writers condannati dal giudice di pace a rimediare alla malefatta. Neppure due mesi fa, invece, il ventottenne Daniele Nicolosi in arte «Bros» era finito alla sbarra nel tribunale di Milano come un novello Caravaggio e, alle accuse sui suoi numerosi «affreschi», aveva replicato appellandosi al diritto all’arte «come nei più civili Paesi europei». E mentre negli spazi pubblici e privati si susseguono mostre e performance, come quelle di «Bansky» e «Tv Boy» al Superstudiopiù o come l’enorme murales di Ron English alle Colonne di San Lorenzo sponsorizzato da Vodka Absolut, l’atteggiamento del Comune continua ad essere quello del bastone e della carota. Il bastone del vicesindaco De Corato, che quest’anno vanta nel carniere 67 denunce e 135 multe contro i «sedicenti artisti»; la carota della Moratti, che ha promesso nuovi spazi e anche una ricompensa ai writers incensurati disponibili a colorare zone degradate della città, come le mura del campo nomadi di via Triboniano, il sottopasso di via Sapri, quello di viale Cassala, di viale Monza, il cavalcavia Bacula, via Monte Ceneri, la stazione di Lambrate e il muro di cinta di via Ludovico il Moro. Nessuna beatificazione museale, ovviamente, come avrebbe immaginato l’ex assessore Sgarbi, nè legalizzazioni di un movimento che, negli anni Ottanta, fondò la sua ragion d’essere proprio sulla trasgressione.

Jean Michel Basquiat campò solo 27 anni.

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