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Se il nucleare fa più paura dello tsunami

«Repubblica» parla di incubo per una seconda Chernobyl, il «Fatto» ironizza sulla sicurezza degli impianti Ma i fatti li smentiscono: è morto un addetto, sono state evacuate migliaia di persone, ma non è un disastro

Come c’eravamo figurati, il giorno dopo l’apocalittico disastro i principali mezzi d’informazione (la parola è grossa, ma è così che si chiamano), hanno concentrato l’attenzione sul rischio nucleare. Repubblica ha titolato quasi esattamente come da noi previsto, con a caratteri cubitali «l’incubo per una seconda Chernobyl» e in caratteri più piccoli, nel sottotitolo, la notizia dello tsunami «che travolge una nave e due treni». Sul Fatto, Marco Travaglio ironizza che noi ci saremmo incautamente esposti ad affermare la sicurezza degli impianti nucleari a cospetto dei terremoti. Farebbe bene, il grande giornalista, a lasciarsi guidare dal titolo del suo quotidiano e badare, essenzialmente, ai fatti.
E i fatti sono, disgraziatamente, tali e tanti che ce ne sarebbe quanto basta e avanza per riempire per giorni le pagine dei giornali, edizioni speciali comprese, con articoli espressi al modo indicativo. Per qualche misteriosa ragione, si preferiscono i non-fatti, rigorosamente espressi al condizionale. Il rischio percepito diventa notizia più importante del danno reale. Anzi, diventa la notizia. La fantasia di chi gode nel narrare scenari orrendi stimola di più della razionale semplicità che verrebbe addebitata a chi si ostinasse di raccontare una realtà, che è non meno orrenda - anzi! - ma che, forse proprio perché realtà, è considerata banale. Insomma, la gara è tra chi è capace di terrorizzare di più. E posso ben comprendere che sia così: aggiungere qualcosa al cospetto delle immagini, che parlano da sole, del vero strazio, sarebbe un’impresa con cui solo le penne sublimi saprebbero cimentarsi. Evidentemente mancano penne sublimi.
Torniamo al terrore nucleare. I fatti sono che, in seguito ad uno dei più potenti terremoti della storia dell’umanità (mille volte più potente del terremoto che ha colpito l’Aquila), 11 dei 54 reattori giapponesi si sono automaticamente spenti e l’unità nucleare si è isolata dal resto dell’impianto (gli altri reattori in esercizio hanno continuato ad operare). Purtroppo, una delle centrali che ospita 3 dei reattori spentisi (la centrale di Fukushima I) è stata investita da un’onda di tsunami che, oltre a travolgere 4 addetti alla centrale uccidendone uno, ha anche fatto mancare l’alimentazione elettrica ai sistemi di raffreddamento, necessario alle unità così distaccate, e in una delle quali è avvenuta un’esplosione, molto probabilmente per l’accumulo di idrogeno. Le conseguenze dell’esplosione e delle manovre eseguite per operare il raffreddamento in assenza di alimentazione elettrica sono state: 1) le lesioni dall’esplosione subite da 4 addetti e 2) la fuoriuscita di vapori debolmente radioattivi, che ha indotto le autorità ad adottare la misura cautelativa di evacuare l’area entro un raggio di 20 km dalla centrale. Per avere una misura della gravità dell’incidente (in quanto incidente nucleare), giova notare che l’Agenzia della sicurezza nucleare giapponese ha proposto che esso sia classificato al livello 4, in una scala internazionale che va da 1 a 7 e che ha attribuito livello 7 all’evento di Chernobyl.


In conclusione, allo stato delle cose, i Paesi che ospitano gli attuali 64 reattori nucleari in costruzione nel mondo o che intendono sviluppare il nucleare hanno ora un motivo di più per perseguire nel loro intento: devono solo osservare che se in Giappone non vi fosse stato alcun reattore nucleare, non sarebbe stata risparmiata neanche una vita delle migliaia di quei poveretti che l’hanno perduta.

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