Politica

"Se Veltroni resiste rifaremo l’Italia"

Il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi: "Altro che inciucio. Il vero ritorno al passato sarebbe non riuscire a riformare il bipolarismo"

"Se Veltroni resiste rifaremo l’Italia"

Onorevole Bondi, mi scusi: sono tre giorni che leggo su «il Giornale» la corrispondenza tra lei e il presidente di An, Gianfranco Fini. Lui scrive, lei risponde; lei scrive, lui risponde. Mi consenta: non ci ho capito nulla. Pensa che i lettori (e gli elettori) abbiano capito?
«Penso che i lettori abbiano capito tutto, e cioè che noi stiamo ancora lavorando per l’unità del centrodestra. Il nuovo partito che Berlusconi ha fondato per rimettere la politica in sintonia con i cittadini non è un atto di sfida agli alleati, ma un necessario passo avanti per far finalmente funzionare il sistema politico italiano. Ritengo e auspico che quando la polvere si sarà posata, gli amici di An possano concorrere con noi ad aprire una nuova stagione unitaria».

Lei è una gran brava persona, onorevole. Forse, sarò un po’ tardo, ma insisto: An entrerà nel Pdl od ognuno andrà per la propria strada?
«Non posso entrare nel merito delle decisioni di An. Ma ripeto: nulla impedisce di proseguire la strada come partiti alleati, e fra l’altro è proprio questo che chiedono a gran voce i nostri elettori. L’unica cosa da non fare è alimentare questa spirale di polemiche in gran parte artificiose che finisce solo per portare acqua al mulino di Prodi. Uniti o divisi, l’obiettivo comune deve essere uno solo: mandare a casa questo governo».

E Casini? Detto tra noi, mi sembra irrecuperabile: ogni giorno una stoccata... Secondo lei, è la pecorella smarrita?
«In politica non esistono pecorelle smarrite. Esistono invece leader e partiti che scelgono legittimamente la propria strada e il proprio destino. Casini e la maggioranza dell’Udc hanno scelto da tempo di non riconoscersi più nella leadership di Berlusconi, disconoscendo la realtà e la volontà della maggioranza degli elettori. Non ho dubbi, comunque, che l’Udc resterà coerentemente alternativo alla sinistra. Le nostre porte resteranno sempre aperte, l’Udc dovrebbe essere artefice di diritto, insieme a noi, alla costruzione di un partito che si ispiri al Partito Popolare Europeo».

Comunque, una cosa è certa in questo bailamme: il Cavaliere ha una grande pazienza. Come mai non li ha ancora mandati tutti a quel paese?
«Berlusconi, per indole e per formazione, è sempre disponibile ad andare d’accordo con tutti. Nella passata legislatura ha fatto molte rinunce in nome degli interessi della coalizione, ma spesso è stato ripagato con egoismi di partito, veti e ultimatum che hanno penalizzato la vocazione riformatrice del suo governo. Berlusconi, però, è anche l’unico leader carismatico di cui l’Italia dispone, e sa bene quando è il momento di prendere decisioni importanti e di assumersi responsabilità storiche. La storia, ancora una volta, gli darà ragione».

C’è un’altra cosa che non capisco, deve avere pazienza. Sono anni che litigate. Perché dovrei credere che se un domani riuscirete a fare pace, sarà per sempre? Io già mi immagino...
«Nulla potrà mai più essere come prima. Il bipolarismo all’italiana è diventato vecchio prima ancora di consolidarsi, perché la forma della politica è cambiata, ma non la sostanza. È inutile scagliarsi contro i riti della prima Repubblica, scegliere un leader da sottoporre agli elettori e concordare un programma comune se poi, un momento dopo il voto, ognuno riprende a remare per conto proprio. La gente non ne vuol più sapere delle alleanze-minestrone in cui tutti decidono e nessuno decide. La Cdl riuscì a governare per cinque anni solo grazie all’autorevolezza di Berlusconi, ma con l’Unione sono venuti a galla tutti i difetti di questo sistema che rischia di trasformare la seconda Repubblica nella brutta copia della prima. Vent'anni fa il governo Prodi sarebbe già andato a casa da tempo».

E, poi, sempre detto tra noi: non è che le cose nel suo partito vadano molto meglio. Prima ancora d’essere fondato, il Popolo della Libertà è già un partito con otto milioni di iscritti. Sarà un’impressione, ma la reazione più tiepida è arrivata proprio dai vertici di Forza Italia. Un caso?
«Forza Italia è stata artefice, come sempre in piena sintonia con Berlusconi, di questa svolta. Sia dal punto di vista politico - basti pensare alla scuola di Gubbio del 2002 dedicata al nuovo partito - che organizzativo. Progetti politici così ambiziosi nascono non da partiti deboli o in crisi, ma da partiti forti, maturi, uniti e lungimiranti. E Forza Italia sarà l’asse portante del nuovo partito. Nessuno ha mai pensato, mi creda, di disperdere il grande patrimonio accumulato da Forza Italia in tredici anni di storia che hanno cambiato la politica e modernizzato il Paese».

È un terremoto che rischia di cancellare l’attuale organigramma. Non lo neghi, un po’ di paura di perdere la poltrona qualcuno di voi l’ha?
«Nella politica conta la politica (scusi il bisticcio). Contano i progetti, la passione e la ricerca del bene comune del Paese. Non bisogna mai fare politica per un interesse personale. Io, ad esempio, ho molto rispetto per Fassino, che si è speso senza riserve, con generosità e determinazione, per la nascita del nuovo partito. Sapendo perfettamente che non sarebbe stato più il segretario del vecchio partito e il leader del nuovo. Io non voglio paragonarmi a Fassino, ma lo spirito con cui lavoro è il medesimo».

Il Popolo della Libertà è il nuovo. Forza Italia è già il vecchio?
«Ma no, queste sono le letture giornalistiche contingenti della vita politica. Ma le pare che Veltroni, Franceschini, Rosy Bindi e altri del Partito Democratico rappresentino il nuovo rispetto ai Ds o alla Margherita (addirittura rispetto al Pci e alla Dc)? Sono persone che fanno politica da sempre, da quando militavano nelle organizzazioni giovanili dei loro partiti. Bisogna giudicare la sostanza delle cose, valutare gli uomini politici per quello che rappresentano e per quello che propongono. Oltretutto, se ho un merito, è quello di avere contribuito in questi anni a costruire un partito democratico, popolare, in cui convivono laici e credenti, liberali, cattolici e riformisti. Le sembra che sia stato facile?».

Berlusconi ci ha abituato con i colpi di scena vincenti. Ma è almeno inusuale che un partito nasca in una piazza. O no?
«Berlusconi è un leader politico fuori dagli schemi, e dai leader carismatici come lui ci si deve aspettare anche svolte di questo tipo. È vero, il nuovo partito è nato in piazza, ma è nato dopo una sedimentazione durata alcuni anni, non è stato certo improvvisato. La grande manifestazione dell’Italia moderata, il due dicembre del 2006, rappresentò il primo passo verso l'unità del centrodestra, e la recente, straordinaria partecipazione popolare ai gazebo ha messo il sigillo alla nuova esperienza politica. Da parte mia, non sono mai stato spiazzato dalle mosse di Berlusconi, perché mi sento vicino al suo pensiero».

Ma è vero quello che sostiene Fini, che volete tornare alla prima Repubblica: si vota e poi i partiti decidono quale maggioranza formare?
«In politica quello che conta è la sostanza. Questo bipolarismo, creato dalla discesa in campo di Berlusconi, ha fatto da una parte maturare il Paese, che ha acquisito una solida coscienza bipolare propria delle democrazie mature, ma ha trovato molte inveterate resistenze proprio nella classe politica, che ha lavorato in perfetto stile Gattopardo. Ora, attraverso la nuova legge elettorale e la riforma dei regolamenti parlamentari, occorre fare in modo che nessuno possa formare gruppi parlamentari che perseguano fini diversi dalle indicazioni date agli elettori. Il trasformismo non dovrà più trovare cittadinanza nella nostra politica».

Una cosa è certa, mi creda. Prodi è stato vittima degli alleati almeno quanto lo è stato Berlusconi. Ma c’è un rimedio? Perché al Paese delle beghe dei partiti, e lei lo sa, importa davvero poco...
«Prodi è stato vittima degli alleati, ma soprattutto di se stesso e della sua presunzione di poter governare senza aver vinto le elezioni. Ha tentato di governare galleggiando sulle divisioni della sua coalizione, ma sta inevitabilmente sprofondando. Per questo è importante farlo cadere. Tutto il resto, è vero, agli italiani non interessa affatto».

Che il suo presidente potesse sedersi a un tavolo con Veltroni, ci aveva mai pensato?
«Certo, per me non è stata una sorpresa. La sinistra in questi anni ha da una parte sottovalutato la forza interiore di Berlusconi e, dall’altra, il significato più profondo del berlusconismo, che si identifica con un progetto di modernizzazione dell’Italia e di rinnovamento della politica, al quale la sinistra ha finito per aderire più di quanto non possa ammettere. Se Veltroni avrà la forza di non soccombere ai tanti conservatori dell’Unione che vedono l’intesa sulla legge elettorale come una minaccia alle loro rendite di posizione, troverà in Berlusconi l’interlocutore ideale per rafforzare il sistema politico e avvicinarlo alle esigenze del Paese».

E a chi vi accusa di preparare l’inciucio, che cosa risponde?
«Che noi lavoriamo per garantire un futuro migliore al Paese. Riscrivere insieme le regole basilari non è mai un inciucio. Se non riusciremo ad approdare a un bipolarismo mite sarà una grave sconfitta per tutti. Altro che inciucio».

Non c’entra nulla, ma sono curioso: a chi dedicherà la sua prossima poesia?
«Alla memoria dei giovani operai morti nella fonderia di Torino».

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