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Segreto di Stato sì o no? Per la seconda volta, i giudici danno torto ai pm

Ordinanza nel processo per i dossier Telecom: non c'è prova che i documenti attribuiti allo 007 Marco Mancini provenissero davvero dagli archivi del Sismi. Venerdì scorso, anche la Corte d'appello del caso Abu Omar aveva dato torto alla Procura generale.

«La veridicità delle notizie non ha potuto essere accertata nel contraddittorio tra le parti. Fino a quando la situazione rimarrà tale non si può procedere a distruzione in quanto indimostrato e indimostrabile il presupposto del documento formato mediante raccolta illegale di informazioni». Così questa mattina il giudice preliminare Giuseppe Gennari ha rifiutato la distruzione dei dossier - tutti attinenti a problemi di criminalità e di terrorismo - che secondo la Procura erano stati forniti sottobanco dal dirigente del Sismi Marco Mancini alla security di Telecom, guidata all'epoca da Giuliano Tavaroli. Il giudice Gennari - che in base alla cosiddetta «legge Mastella» deve occuparsi della distruzione dei dossier raccolti illegalmente - ha in sostanza accolto la richiesta di Mancini: che ha sempre sostenuto che quelli rinvenuti durante l'indagine non erano affatto documenti provenienti dall'interno del servizio segreto ma un'accozzaglia di notizie vecchie e di pubblico dominio, e in alcuni casi di semplici bufale, raccolte qua e là dagli investigatori di Telecom. Alla stessa conclusione era arrivato qualche mese fa il giudice Mariolina Panasiti, che nell'ambito dello stesso processo aveva assolto Mancini. Se non c'è prova che quei documenti provenissero dal Sismi, stabilisce oggi il suo collega Gennari, non c'è motivo di distruggerli.
Si tratta della seconda decisione in pochi giorni che la magistratura milanese si trova a dover assumere nell'intricata e delicata materia dei rapporti tra segreto di Stato e indagini penali. Sotto la spinta di due inchieste di grande rilevanza e con diversi punti di contatto, quella sul rapimento dell'imam estremista Abu Omar e quella sull'attività dell'ufficio security di Telecom, la Procura e il tribunale di Milano sono andati ripetutamente ad urtare contro il segreto di Stato e contro l'interpretazione rigida che ne hanno dato dapprima i governi Prodi e Berlusconi e successivamente la Corte Costituzionale. Una serie di decisioni e di ordinanze hanno contribuito, in questi ultimi tre anni, a formare una consistente giurisprudenza intorno ad un tema su cui finora esistevano solo pochi e poco significativi precedenti.
La conferma del segreto di Stato da parte della Consulta ha portato all'assoluzione in primo grado di tutti i dipendenti del Sismi accusati di avere cooperato con la Cia nel sequestro Abu Omar, con in testa Marco Mancini e il suo superiore diretto, l'ex direttore del servizio segreto Nicolò Pollari. Il processo d'appello è in corso, ma anche i giudici di secondo grado hanno recentemente dato ragione alle posizioni degli imputati: venerdì scorso la corte presieduta dal giudice Silocchi ha restituito alla Procura generale tutti i verbali di interrogatorio che l'accusa voleva produrre nel dibattimento. Dopo averli letti, i giudici hanno preso atto che si tratta di materiale interamente coperto dal segreto, e quindi non utilizzabile nei processi.
Su quest'ultimo versante, c'è da registrare la dichiarazione della vittima del rapimento, l'imam Abu Omar, che oggi attacca frontalmente il generale Pollari. Nel corso dell'ultima udienza, Pollari aveva ribadito di essere stato assolutamente contrario alle «rendition», come gli americani chiamano i sequestri dei sospetti terroristi. «Ci sono ottantotto documenti cartacei e audiovisivi che provano la mia estraneità - aveva detto Pollari - ma non posso mostrarli perchè sono coperti dal segreto. E se li divulgassi potrei venire accusato di un reato ancora più grave del sequestro di cui sono oggi imputato». Dall'Egitto, gli replica Abu Omar: ««Più di 20 agenti dei servizi segreti statunitensi (Cia) sono entrati in Italia e vi sono rimasti un mese con l'obiettivo di catturarmi. Questo non può essere accaduto all'insaputa dei loro colleghi italiani e senza coordinarsi con loro.

Ritengo che il rapimento sia avvenuto per ordine di un personaggio di grado anche più elevato di quello di Pollari».

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