Senza progetti per l’industria anche l’Alitalia resta a terra

Bruno Costi

La vicenda Alitalia, così come è uscita dal vertice italo-francese tra Prodi e Chirac, dimostra che talvolta una proposta industriale può bruciare più di uno schiaffo in pubblico.
Ma la vicenda svela anche che esiste una questione industriale italiana più ampia, fatta di scelte mancate, risposte tardive, denari sprecati, responsabilità politiche, nel trasporto aereo ma pure nell'energia, nei farmaci, nelle autostrade, nelle banche. Una questione industriale per la quale è mancata e continua a mancare una visione, un progetto, una idea che catalizzi i capitali, gli uomini, le leggi, gli incentivi, i ricercatori e che dica al Paese cosa dev'essere l'industria italiana nel futuro, dove è ancora possibile che abbia un ruolo da protagonista.
Qualche esempio? Partiamo proprio dal trasporto aereo dove la realtà è condensata nella proposta di Air France: poiché la compagnia aerea francese vale 6 volte e mezzo quella italiana, e guadagna mentre la nostra perde, la soluzione è che i francesi senza tirar fuori un soldo, ma scambiando azioni, assumano il controllo di Alitalia, comandino nella gestione, chiudano Malpensa che fa concorrenza a Parigi e tanti saluti a tutti coloro che parlano italiano.
Sicché dovremmo chiederci perché nel trasporto aereo siamo il terzo mercato di consumo d'Europa, ma la compagnia aerea di bandiera è la dodicesima nel mercato europeo. Ovvero, siamo il terzo mercato di conquista, ma dodicesimi nel conquistare i mercati di altri. E scopriremmo che da un decennio almeno gli apprendisti stregoni si esercitano attorno alla compagnia di bandiera, senza uno straccio di progetto coerente, obiettivi chiari, management saldo e autonomo, mentre il Paese assiste sotto lo sguardo miope del sindacato e degli enti regolatori, al lento, inesorabile declino di un'Alitalia mangiasoldi e perditempo.
Non diversa è la situazione dell'industria farmaceutica. Il prezzo di un farmaco acquistato in farmacia è per il 61% responsabilità di chi lo produce (l'industria) e per il 39% di chi lo distribuisce e lo tassa (le farmacie, i grossisti, lo Stato). Se è vero ciò che dice l'Università Bocconi, cioè che quel 61% di prezzo industriale è fra i più bassi d'Europa e quel 39% di prezzo delle farmacie fra i più alti, sarà quest'ultimo che occorrerà costringere, iniettando concorrenza, liberalizzazioni e diversa fiscalità. Invece accade che l’emergenza della finanza pubblica persegue il risparmio della spesa farmaceutica senza proporre al Paese e all'industria un progetto, se si vuole anche rudemente negoziato, di promozione e crescita dell'industria nazionale in Europa.
Potremmo continuare con il mercato autostradale italiano, che finirà in mani spagnole perché Autostrade sarà venduta dai Benetton, con l'energia di Edison che è già finita alla francese Edf mentre Enel ed Eni incontrano difficoltà a trovare spazio in Francia, e potremmo finire con le banche, dove nell'ultimo anno è avvenuto lo sbarco in forze della finanza francese, olandese e spagnola.
Il punto è che senza una strategia ed un progetto, con la politica del carciofo, foglia a foglia stanno «prelevando» i redditi degli italiani spesi per volare, curarsi, risparmiare, telefonare, viaggiare e questo prelievo creerà ricchezza e lavoro in Spagna, Francia, Olanda, Germania ma non in Italia. Sarebbe utile che il governo indicasse qual è il suo progetto per l'industria italiana. Il mercato è il miglior strumento che il capitalismo abbia inventato per allocare in modo efficiente le risorse, ma nessuno si è mai sognato, nemmeno i più accaniti liberisti, di affidargli le strategie di crescita e di sviluppo di un Paese.
b.

costi@tin.it

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