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Senza un soldo, il peggiore dei candidati possibili vince le primarie in South Carolina

Un giovanotto sconosciuto, ex militare disoccupato, accusato di atti osceni, ha battuto il suo rivale democratico per un seggio al Senato Usa. Nessuno sa spiegarsi come abbia fatto senza uno straccio di campagna elettorale, né un computer, né un'idea

La storia è di quelle che potrebbe finire nella rubrica «strano ma vero» della Settimana enigmistica. Ma, nel pazzo mondo, sono storie come questa le migliori per ricavarne qualche riflessione. Il succo è presto detto: l'otto giugno scorso un ex militare disoccupato del South Carolina è stato eletto alle primarie democratiche diventando il candidato per il partito di Obama per un seggio al Senato federale.
Cosa c'è di strano, si dirà. Un giovanotto meritevole si fa largo in un sistema democratico che funziona, per la gioia del Pd e dei professorotti prodian-veltroniani che imposero le primarie (un po' truccate, per la verità) persino agli eredi del nostro Pci. Purtroppo non è proprio così, perché il giovanotto, al secolo Alvin M. Greene, vanta un cursus honorum un po' bislacco per un'impresa che non gli è costata neppure un dollaro di campagna elettorale. Del tutto alieno alla politica, anzi, al suo primo impegno politico, il giovanotto attende di essere giudicato per un'accusa di atti osceni in luogo pubblico.
Evidentemente l'opinione pubblica non ha creduto alle accuse. Peggio: in centomila l'hanno votato senza che Alvin avesse investito neppure un bruscolino per far vedere il faccino (che ci piacerebbe immaginare un po' inquietante, alla Antony Perkins). Così il candidato Greene, con il 59 per cento delle preferenze, ha stracciato il rivale Vic Rawl, sostenuto dai maggiorenti del partito. Dopo la vittoria i vertici democratici del South Carolina hanno parlato di complotto del partito repubblicano (cinici e buontemponi avrebbero votato il candidato meno credibile), mentre altri hanno commentato che Greene abbia vinto solo perché il suo nome era stato estratto primo in lista, come scrive il prestigioso New York Times.
Intervistato più volte da radio e tivù, Alvin M. Greene non ha saputo spiegare le ragioni del suo successo. Ha bofonchiato confusamente qualche parola, ha borbottato che si era trattato di un «duro lavoro», ma non è riuscito a mettere assieme un paio di frasi che avessero un senso politico (e non solo). Ha poi raccontato di essere pronto a lanciare un sito web, ma non ha fornito alcuna prova che dimostrasse l'assunzione di alcuno. Anche perché Alvin è addirittura sprovvisto di computer e lavora al telefono dal salotto di casa sua.
Il New York Times e il Guardian lo hanno descritto come una persona enigmatica, incapace di argomentare le ragioni del suo successo e ossessionato da quella che lui chiama una grande ingiustizia: l'essere stato congedato involontariamente dall'esercito e non avere ricevuto neanche una promozione in sei anni di servizio.
John Calhoun Land IV, avvocato e presidente del Claredon County Democratic Party, giudica la sua elezione «il più grande mistero al quale abbia mai assistito». Considerate le premesse - e volendo scludere che si tratti di una spia russa al soldo di Putin - non ci sono motivi per credere che che Alvin M. Greene abbia alcuna chance di vittoria contro il candidato repubblicano Jim DeMint nelle elezioni di novembre.

Ma alcune domande restano sul campo, e riguardano la vitalità del sistema democratico nella sua patria d'elezione. Una su tutte: come si fonda la convinzione di voto nell'elettore-medio, non soltanto americano? Ormai soltanto a casaccio, perché nel globo non si crede più in nulla? Ma se invece il cittadino-elettore s'informa, attraverso quali misteriosi canali ha ritenuto che il povero Alvin, un po' sfigato e un po' maniaco, fosse il migliore dei candidati presentabili? La solita tivù, o un passa-parola bisbigliato di drugstore in drugstore?

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