Cultura e Spettacoli

Il servizio funebre di "Linea notte" rinfranca lo spirito

Oggi non si registrano sostanziali cambiamenti di stile nell'ex Monopolio, salvo l'introduzione di massicce dosi di ipocrisia nel palazzo di viale Mazzini

Il servizio funebre di "Linea notte" rinfranca lo spirito

Ho letto recentemente critiche feroci rivolte a Linea notte (Raitre), programma normalmente diretto da Maurizio Mannoni, giornalista di lungo corso dell'emittente di sinistra, addirittura fondata dal Pci ai tempi in cui la lottizzazione partitica avveniva alla luce del sole in base al memorabile manuale Cencelli. Nulla di scandaloso. Oggi non si registrano sostanziali cambiamenti di stile nell'ex Monopolio, salvo l'introduzione di massicce dosi di ipocrisia nel palazzo di viale Mazzini (sorvegliato da un cavallo in procinto di morire, quasi un simbolo profetico). Ma torniamo a Linea notte e alle pecche che le sono state attribuite, ad esempio una conduzione annoiata e noiosa, uno schema obsoleto, ospiti di risulta, mancanza di nerbo e di vivacità. Intendiamoci, opinioni legittime, ma proprio per questo discutibili.

Confesso che a me, invece, Maurizio Mannoni e il suo modo di fare, quello di uno che si trova in studio per caso, e non vede l'ora di andarsene in trattoria per una spaghettata ricostituente, piacciono molto. Conferiscono al programma un tono vintage assai gradevole, al quale gli invitati a commentare l'attualità si adattano volentieri: non alzano la voce, difficilmente vengono interrotti nei loro conversari dal solito politico o editorialista impertinente.

Chi ha in uggia i talk show classici, la cui caratteristica principale è la litigiosità, parente stretta della cattiva educazione, apprezza questa trasmissione talmente rilassante da stimolare qualche sbadiglio in alcuni spettatori e un sonno profondo in altri. Linea notte è vecchia, ma non stucchevole. Immagino siano una esigua minoranza coloro che, sprofondati in poltrona, sono indotti ad azionare il telecomando in cerca di emozioni elettrizzanti. La maggioranza degli utenti si lascia avvolgere da una sorta di torpore che impedisce ai muscoli qualsiasi movimento, foss'anche finalizzato a pigiare un tasto allo scopo di togliersi davanti agli occhi la scena di quei signori catatonici, seduti attorno a un tavolo rotondo, che esalano poche parole giusto per dimostrare ai familiari, sintonizzati su Raitre, di non essere in coma.

Linea notte infonde una quiete interiore e una rassegnazione paralizzanti; sembra uno studio ardente nel quale si veglia una salma: quella del giornalismo che si misura in decibel. Ultimamente ho notato che Mannoni indossa giacche scure, nere o blu, e camicie in tinta che gli conferiscono l'aria solenne di un sacerdote celebrante, dal quale ti aspetti, da un momento all'altro, che congedi i presenti così: «Ite, missa est». Scommetto che prima o poi succederà.Il programma rinfranca lo spirito. Per renderlo ancora più utile alla salute dell'anima, servirebbe però qualche ritocco. Perché non mandarlo in onda in bianco e nero? L'effetto revival sarebbe garantito. Avremmo la sensazione di tornare all'epoca in cui le trasmissioni politiche osservavano scrupolosamente l'etichetta della banalità come valore: ospiti incravattati di tutto punto, impassibili, domande brevi dei giornalisti e comizi di deputati e senatori. Lo spettacolo era arricchito da gente come Ugo Zatterin, passato alla storia della televisione per aver annunciato, il 20 settembre del 1958, la chiusura in Italia delle case di tolleranza per effetto dell'entrata in vigore della legge Merlin.

Ecco, Maurizio Mannoni potrebbe approfittare del bianco e nero per dichiarare chiusa Linea notte , e passare anche lui, se non alla storia, almeno alla barzelletta.

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